(Gaetano Perricone) “Ricordo il rumore degli spari. Per la terza volta, nella mia vita palermitana, sentivo il rumore delle armi da fuoco e delle bombe mafiose, a pochissima distanza dalla mia abitazione. Primo fu Chinnici, poi Cassarà, infine Insalaco”. Ha commentato di getto così il caro, grande Santo Scalia, che su questo blog conoscete come straordinario narratore di storie e super memoria storica dell’Etna, quando il 12 gennaio di questo appena iniziato e ancora durissimo 2021 ho ricordato sul mio profilo facebook il 33esimo anniversario dell’inquietante omicidio a Palermo dell’ex sindaco Peppino Insalaco. A quel punto, non ho potuto fare a meno di chiedergli una testimonianza più ampia su questi tre terribili ricordi, il racconto di un’esperienza di vita simbolica e paradigmatica in una città meravigliosa e terribile. Ed ecco le sue parole, poche, asciutte e incisive come sempre e per questo estremamente drammatiche nel caso specifico. Grazie, Santo, per questo importante, significativo, prezioso ricordo, testimonianza dolorosa e viva dell’orrore di Cosa Nostra.
di Santo Scalia
“Gaetano Perricone, mi chiedi di rievocare tre episodi tristi della mia vita palermitana. Lo faccio con dolore, ma questi episodi purtroppo fanno parte della storia mia e di questa città.
Contrariamente a quanto è accaduto a te, che da palermitano hai deciso di vivere alle falde dell’Etna, io, dalle sue pendici, mi sono invece trasferito nella tua città natale. Nel luglio del 1983 (allora non ero ancora sposato e vivevo ad Acireale) frequentavo Palermo nei fine settimana. In quell’occasione, era periodo di ferie, mi trovavo invece presso i miei futuri suoceri. Alle 8 del mattino di martedì 6 agosto un enorme boato, ci fece trasalire. A meno di 200 metri, apprendemmo poco dopo dal nostro portiere, un’autobomba era esplosa, uccidendo il magistrato Rocco Chinnici, due militari della sua scorta ed il portiere dello stabile in Via Pipitone Federico n. 59.
Il 6 agosto 1985, anche stavolta di martedì, abitavo già a Palermo, in Viale Croce Rossa, vicino allo stadio e a quella che sarebbe poi divenuta l’attuale Piazza De Gasperi. Il condominio dove vivevo era (ed è tutt’ora) contiguo a quello del civico 81. Alle 15,30 circa – ero appena rientrato dal lavoro – una serie di scoppi (li avevamo interpretati per fuochi d’artificio, come una “moschetteria”) arrivarono da qualche posto molto vicino. Il successivo arrivo di sirene delle ambulanze e mezzi della polizia, il sorvolo a bassa quota di elicotteri, ci portarono a prendere coscienza di quanto era avvenuto: un commando di nove uomini armati di kalashnikov – apprendemmo successivamente – aveva sparato più di duecento colpi d’arma da fuoco sul vicequestore Ninni Cassarà, uccidendolo insieme ad uno agenti della scorta.
Il mio terzo “incontro ravvicinato” con mortali agguati è avvenuto 33 anni fa, 12 gennaio 1988. Stavolta vivevo ad un centinaio di metri dal luogo dell’agguato, avvenuto in via Cesareo. Furono 5 colpi, in rapida successione, e stavolta non li scambiai per mortaretti!
Giuseppe Insalaco – già sindaco della città – rimase ucciso mentre si trovava in auto. Per la terza volta, nella mia vita palermitana, sentivo il rumore delle armi da fuoco e delle bombe mafiose, a pochissima distanza dalla mia abitazione.
Questo è tutto. Per mia fortuna non ho percepito altri segni delle altre stragi che, purtroppo, sono accadute in questa città”.
Con il titolo: la strage di via Pipitone Federico del 29 luglio 1983 (dalla pagina facebook L’Ora edizione straordinaria)
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