di Antonella De Francesco
Un gran bel film l’ultima fatica di Leonardo Di Costanzo dal titolo Aria Ferma con un cast di tutto rispetto, composto da matadores della scena come Toni Servillo e Silvio Orlando (entrambi con un eccellente curriculum di teatro e cinema alle spalle), ma anche Fabrizio Ferracane (già apprezzato per il ruolo di Pippo Caló nel film Il Traditore) e nuovi talenti esordienti che il regista ha sapientemente scovato e messo in luce .
Il film è ambientato in un carcere che sta per essere chiuso e nel quale restano in attesa di trasferimento una manciata di detenuti (12) e alcune guardie sotto la guida di Gaetano Gargiulo, interpretato da Toni Servillo. Diventa necessario spostare i detenuti nell’area centrale del carcere per sorvegliarli con facilità. Lo spazio agibile dell’enorme e vetusto carcere viene circoscritto ad un’area circolare, che diventa una sorta di agorà in cui guardie e detenuti si affronteranno, il più delle volte solo con lo sguardo, in un crescendo di tensione emotiva che non lascia mai tranquilli .
Anche all’interno del gruppo dei detenuti si distingue il capo: don Carmine Lagioia, interpretato da Silvio Orlando, che sarà per tutto il film l’alter ego e l’antagonista di Gargiulo . Entrambi si sentono responsabili dei loro sottoposti, ma a Gargiulo compete anche la responsabilità dei “suoi detenuti” . Per lui dunque la responsabilità è maggiore e lo è anche il suo dissidio interiore tra la consapevolezza di non potersi fidare di un capomafia e la necessità di dover accettare tacitamente il suo appoggio, per tenere sotto controllo con pochi uomini i detenuti.
Man mano che la narrazione procede ciascuno svela la sua identità, le sue fragilità, la sua forza, le sue speranze e riesce sempre più difficile schierarsi, segnare il confine tra detenuti e guardie perché in quello spazio sono entrambi reclusi. Il giudizio è confuso e sospeso per tutti ma non per Gargiulo che ha sempre chiara la differenza tra lui e i detenuti, che non confonde mai la dignità di ciascuno con la rispettabilità, la pietà con il perdono. E la sua personalità si staglia come una montagna davanti a Don Carmine che regge bene il confronto e resta sempre obbediente, perché forse sul finire della pena ha compreso i suoi errori o solo perché la situazione contingente lo richiede.
Ma la mia impressione è che ci sia qualcosa che va oltre il film e che riguarda Servillo e Orlando. È come se questi due grandi attori, figli della stessa napoletanità, si siano da sempre conosciuti (un po’ come nel film), osservati, apprezzati, aspettati e adesso possono finalmente affrontarsi esprimendo, nei rispettivi ruoli, la loro indole diversa di uomini e il loro pari, eccelso valore di attori, grazie ad una regia misurata, mai urlante, senza pregiudizi e capace di grande umanità e tenerezza .
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