di Santo Scalia

SANTO AGHIOS

L’anno 1669 evoca nella mente dei catanesi e degli abitanti del versante meridionale dell’Etna immagini di distruzioni e terribili angosce. In quell’anno, infatti, nel mese di marzo ebbe inizio la più nefasta delle eruzioni etnee degli ultimi secoli.

Tanto si è scritto su questo evento, sia da parte dei contemporanei sia degli studiosi successivi: Tommaso Tedeschi Paternò, già nello stesso anno, pubblicò il famoso Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669, Giovanni Alfonso Borelli nel 1670 scrisse la Historia et meteorologia incendii aetneaei annii 1669, Athanasius Kircher (cfr. il Vulcanico del 3 giugno scorso), nell’edizione del 1678 dell’opera Mundus subterraneus, riprendendo la cronaca di Don Pietro Squillaci, diede un ampio resoconto degli eventi accaduti.

Non ci proponiamo qui di riproporre la descrizione degli avvenimenti e delle distruzioni causate dai flussi lavici, ma di soffermarci sulle testimonianze pittoriche lasciateci da uno in particolare dei testimoni oculari, il pittore acese Giacinto Patania – come egli si firmava – o Platania, come oggi invece è più conosciuto.

Giacinto Platania, «insignis Pictor», come lo definisce il già citato Borelli, «Pictor egregius» – come nel titolo del seminario di studi in occasione del quattrocentesimo anno dalla sua nascita, svoltosi a Catania presso il Convento dei Benedettini nel 2012 – fu uno dei maggiori pittori e decoratori siciliani del XVII secolo. Nato ad Acireale il 13 ottobre del 1612, figlio d’arte (il padre, Antonio, era anch’egli pittore), probabilmente si formò artisticamente a Messina.

Anche il Vulcanico (9 maggio 2018) si è già occupato di lui, raccontando come degli uomini intraprendenti tentarono di opporsi al naturale corso delle colate laviche: e tra questi uomini c’era proprio Giacinto, allora cinquantasettenne.

Ed è proprio per aver visto con i propri occhi casali, interi paesi, chiese ed edifici distrutti dalla lava, per aver “toccato con mano” la lava appena rappresa, per essere stato di persona nei luoghi del disastro, che Platania riesce ad essere nelle sue opere relative all’eruzione estremamente incisivo e preciso; riesce a dare delle visioni a volo d’uccello meravigliosamente corrette sia nella prospettiva che nei dettagli.

02 Passaggio della flotta
“Passaggio della flotta di Don Martino De Redin, Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano al largo della città” nel 1657

L’Etna è presente più volte nelle opere di Platania: per cominciare, nel dipinto relativo al Passaggio della flotta di don Martino De Redin, gran maestro dell’ordine gerosolimitano, al largo della città del 1657, conservato presso la Pinacoteca Zelantea di Acireale; poi nel quadro, custodito presso la Cattedrale acese, che raffigura l’Angelo Custode. In entrambi è raffigurata la città e, sullo sfondo, è presente il vulcano, col suo imponente pennacchio. Ma l’Etna è stato raffigurato anche in piena attività eruttiva, proprio quella iniziata nel marzo del 1669: in un conosciutissimo affresco (realizzato nel 1675) su una delle pareti della Sacrestia della Cattedrale di Catania, ed in un dipinto su tela, meno conosciuto, che si può tutt’ora ammirare sull’altare maggiore della chiesa della frazione acese di Santa Maria la Scala.

L'affresco della Sacrestia del Duomo
L’affresco della Sacrestia del Duomo

L’affresco della sacrestia del Duomo è visto, come già detto, con prospettiva a volo d’uccello, guardando da sud verso nord: la città, infatti, è in primo piano; la lava ha già raggiunto il mare ed in esso si è abbondantemente inoltrata; il Castello Ursino ed i suoi bastioni sono stati circondati dalla colata, ormai in via di raffreddamento. Il Monastero dei Benedettini, a nord-ovest, è lambito dalla lava che scaturisce dai Monti della Ruina, oggi definiti Monti Rossi, presso Nicolosi; in mezzo ai flussi lavici spicca “u Campanarazzu” – il campanile della vecchia Misterbianco (Monasterium Album) – mentre il paese non esiste più, così come non esistono più, o sono danneggiati, i casali di Malpasso (oggi Belpasso), Mompileri, San Pietro, Campo Rotondo, la Mascalcia (l’odierna Mascalucia), San Giovanni di Galermo. Sopra tutto spicca la mole della Cattedrale di Catania, quella vecchia, con l’altissimo campanile: tutto rovinerà solo 24 anni dopo, nel tragico terremoto del gennaio 1693; a quella data Platania sarà già morto, ma ci resta una meravigliosa istantanea di una tragica giornata catanese del 1669.

Nell’altra opera, anch’essa una veduta aerea, la prospettiva è diversa: il paesaggio è visto dal mare al largo della costa acese: lungo la costa ionica a nord di Catania si notano, come li si chiamava al tempo, Lognina, il Castello di Aci, la Trezza, il Capo dei Molini. Non c’è tutto il fermento che invece c’è fuori le mura di Catania: le processioni religiose, in testa il Cardinale Michelangelo Bonadies, le religiose che vengono imbarcate sulle feluche per essere messe in salvo nei monasteri di Acireale. Non ci sono i nobili che abbandonano la città su carrozze e portantine, né chi tenta di mettere i salvo i propri beni.

Il dipinto di Santa Maria La Scala
Il dipinto di Santa Maria La Scala

Il quadro di Santa Maria la Scala raffigura la Madonna col Bambino, coronata da angeli ed affiancata dalle Sante Venera (con la palma del martirio, patrona e protettrice della città di Acireale) e Tecla. E’ presente la scala, simbolicamente unione e collegamento della terra col cielo. Il dipinto, in questo caso, è visto invece con la fiducia che gli acesi ripongono nella loro Santa Patrona: infatti la scena si sposta lungo la costa al largo di Acireale, la città è salva, abbastanza lontana dal teatro eruttivo. Il vulcano è in piena eruzione, i crateri in fortissima attività esplosiva (i già citati Monti della Ruina), ed anche il Cratere centrale fuma abbondantemente. Catania invece è stretta nella morsa della lava, che si è già protesa ed inoltrata in mare.

Tante sono le raffigurazioni di questa grande eruzione, soprattutto in stampe ed incisioni; queste due opere del Platania però offrono una dovizia di particolari ed un rigore topografico eccezionali.

Monumento funebre del Platania, ad Acireale (Foto S. Scalia)
Monumento funebre del Platania, ad Acireale (Foto S. Scalia)

Giacinto Platania morì il 10 luglio del 1691 ad Acireale, dove è sepolto nella chiesa dei Cappuccini (Santa Maria degli Angeli).

 

Con il titolo: il teatro eruttivo tra le sante Venera e Tecla (particolare), nel quadro di Giacinto Platania a Santa Maria La Scala. Foto S. Scalia

 

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