di Antonella De Francesco
Una coppia siede in un ristorante.
Si amano. L’unica cosa che salta all’occhio dalle prime inquadrature, è che lei , Marina, è più giovane di lui. Il sentimento e l’intesa tra loro parlano chiaro e senza equivoci di una storia d’amore, se non fosse che ….vi è di più e se non fosse che abbiamo ancora bisogno di identità chiare, di parole che abbiano un significato definito , anche a costo di soffocare il senso delle cose, fagocitando l’essenza delle persone e dei sentimenti.
Sheakspeare diceva che una rosa profumerebbe lo stesso anche se avesse un nome diverso, ma noi siamo capaci di riconoscere che una donna è straordinaria anche se ha un passato da uomo ? Quanto pesano sul suo valore di persona fedele e sensibile, il suo nome d’origine e la gabbia biologica da cui la sua anima tenta di venir fuori?
È proprio il tema dell’identità, per se stessi e per gli altri, quello che affronta Il regista Sebastián Lelio nel suo ultimo film “Una donna fantastica”. Dopo “Gloria”, il regista, con la preziosa sceneggiatura di Estefania Larrain, traccia il dipinto indelebile di una donna, a suo modo speciale, ma diversa. Attraverso riprese ravvicinate di chi, anche ai nostri occhi fissi sullo schermo, non è più né uomo, né donna, ma solo essenza dell’uno e dell’altra. A dimostrazione che non basta un nome, un documento e fattezze fisiche predefinite, per comprendere la differenza tra uomo e donna.
Con la semplicità di un gesto, Marina rivela come sia banale apparire, a chi ci osserva, uomo o donna, solo spostando l’asciugamano dalla vita al seno, prima di entrare in sauna. Ma se è facile sembrare l’uno o l’altra, vivendo esistenze legate al gender, più difficile è incarnarne la sensibilità, così diversa nei due sessi. Una donna meravigliosa , interpretata magistralmente da Daniela Vega, nei panni di un uomo che sceglie di essere donna, perché è così che si sente e che vive la sua condizione esistenziale.
Davanti allo schermo, io per prima, mi sono ripetutamente chiesta se si tratti di un attore o di una attrice, se sia uomo o donna, tanto è abile il regista a scolpire gesti e movenze dell’uno e dell’altro sesso, nel corso della storia. In questo modo rivelando l’unica grande scomoda verità e cioè che noi tutti siamo uomo e donna ad un tempo!
Qualche spunto alla Almodovar, limitato ai dialoghi concitati e aggressivi e alle riprese ravvicinate di volti cattivi sullo sfondo di Santiago del Cile, che a discapito di progresso e grattacieli, rivela tutta la sua grettezza.
Qualche eccesso di apparizione onirica e di simbologia che si poteva evitare, ma che si può anche perdonare.
Da vedere, per farsi qualche domanda …
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