(Gaetano Perricone). Il mondo si è svegliato il 31 agosto senza l’uomo che, più di ogni altro, ne cambiò profondamente la storia nell’ultima parte del Novecento. Ho appreso nella tarda serata del 30 agosto della scomparsa a 91 anni del grande Michail Gorbaciov, anzi Gorbachev – ultimo segretario generale e presidente dell’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste e Sovietiche – ed è stato subito un forte turbinio di pensieri, ricordi, nostalgia di anni, giorni, momenti di speranza autentica in un’umanità migliore e diversa. Mi è molto dispiaciuto. Gorbachev si porta nella tomba, insieme a quella enorme voglia di fragola o mirtilli sulla sua fronte, la sua “glasnost” (trasparenza, il metodo) e la sua “perestrojka” (ricostruzione o ristrutturazione, azione politica) che, insieme ai sorrisi e alle strette di mano dispensate al mondo intero insieme alla splendida moglie Raissa, cambiarono velocemente e clamorosamente la storia e l’immagine del vecchio orso sovietico mangiatore di bambini a colazione, portando alla caduta del muro di Berlino, alla fine dell’URSS e soprattutto di quella angosciante e pericolosissima “guerra fredda” oggi prepotentemente e ancora più pericolosamente tornata alla ribalta con la guerra d’invasione russa in Ucraina, le fortissime tensioni a Taiwan e in altre parti del mondo. Gorbachev, uomo di straordinario carisma ed empatia, ci regalò in sostanza, per quasi un trentennio, la grande utopia della fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti e di un’era di concordia costruttiva per l’umanità per migliorarne le condizioni, che gli valsero il Premio Nobel per la pace nel 1990. Ci regalò dunque meravigliose, ma alla fine fragili ed effimere – visto quello che è oggi la Federazione Russa di Vladimir Putin, profondamente nostalgico dell’impero sovietico – speranze di un futuro sereno per noi, i nostri figli e nipoti e solo per questo merita un posto nello scrigno della nostra più bella memoria. Di Gorbaciov, della sua storia e del suo percorso politico, delle sue potenti intuizioni e di quello che non capì fino in fondo, dei suoi successi e dei suoi errori, ci racconta Francesco Palazzo in questa approfondita riflessione. 

 

di Francesco Palazzo

La prima volta che ricordo di aver sentito il nome di Gorbaciov fu nel lontano 1982, in occasione della morte di Breznev, allorquando venne fatto insieme a quello di altri notabili per la scelta del nuovo segretario generale del Pcus, e me ne stupii perché Michail era ancora troppo giovane per ricoprire una carica così importante – la più importante – in una Unione Sovietica governata da una gerontocrazia. E infatti, prima venne nominato Andropov, che restò in carica dal 1982 al 1984, e poi Cernenko, il cui mandato spirò nel 1985.

Allora ci sembrava che i sunnominati segretari generali fossero vecchissimi: Breznev era nato nel 1906 e morì nel 1982, quindi a 76 anni di età; Andropov, che era stato direttore del KGB dal 1967 al 1982, era nato nel 1914 e morì nel 1984, cioè a 70 anni; Cernenko era nato nel 1911 e morì nel 1985, cioè a 74 anni. Ma ci sembravano vecchissimi forse perché corrosi dalle più svariate malattie, penso tutte legate all’abuso di sostanze alcoliche e di cibo. Fatto sta che oggi in Italia si ritiene che un signore di 86 anni sia in condizione di poter ricoprire onorevolmente la carica di presidente della Repubblica (sto parlando del pregiudicato, ovviamente).

Premio Nobel per la pace nel 1990

Fatto sta che nel 1985, all’età di 54 anni, viene nominato segretario generale del Pcus il giovane Michail Gorbaciov. Era una vera apertura al mondo. L’URSS aveva saputo compiere uno dei suoi passi coraggiosi che tanto hanno nobilitato il popolo russo. Un giovane (!), con idee nuove e con la volontà di lavorare per il bene di tutti i lavoratori ed i popoli del mondo, era stato nominato alla guida del più grande e più potente stato socialista del mondo. Subito, Gorbaciov sentì il bisogno di indicare la strada che voleva percorrere, glasnost e perestrojka, trasparenza e ricostruzione, e subito capimmo che era cominciata una nuova era. Gli americani, con quel furbacchione di Reagan, non si fecero scappare l’occasione di rafforzare i contatti con l’URSS, che erano già iniziati sotto l’era Cernenko, per pervenire ad una calmierizzazione delle armi di distruzione di massa. E infatti nel 1987 a Reykjavik Gorbaciov e Reagan firmano il trattato sulla eliminazione delle armi nucleari a raggio intermedio in Europa. Insomma, si faceva strada nei nostri cuori la speranza che si potesse lavorare per un modo più giusto (meno ingiusto).

Michail e Raissa Gorbaciov con Fabio Fazio a Sanremo nel 1999

Il disastro di Chernobyl ci dimostrò come la vecchia URSS, con i suoi vecchi apparatchik intrisi di burocrazia e di meschinità umana, era dura a morire, altro che glasnost! Però, poi, Gorbaciov si presentava bene, con la amatissima moglie Raissa girava le più importanti capitali europee e mondiali, veniva ricevuto dalla regina Elisabetta e perfino da Papa Wojtyla, addirittura venne come ospite d’onore a Sanremo (era il 1999), insomma risultava simpatico ed era un piacere riceverlo in famiglia attraverso la televisione. Tanto popolare che nel 1990 gli venne assegnato il premio Nobel per la pace. E poi il grande pubblico non sapeva nulla di quello che avveniva all’interno delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Non si sapeva che nel 1988-1989 i primi moti nazionalisti nel Caucaso e nei Paesi baltici erano sfociati in disordini e crimini (ad esempio l’eccidio del gennaio 1990 nella capitale azera Baku, gli assassinii di persone russe in Kazakistan e altro).

Gorbaciov con Papa Wojtyla

Di fronte a questi fatti che minavano l’integrità territoriale e politica del Paese, Gorbaciov si comportò in un modo difficilmente spiegabile. Dapprima non reagì affatto, mentre i disordini assumevano vaste dimensioni. Poi ordinò di usare la forza militare, il che provocò ulteriori vittime e accrebbe i sentimenti indipendentisti. Anche in Lituania nel gennaio 1991 Gorbaciov ordinò improvvisamente all’Armata Rossa di occupare la sede del parlamento e della locale televisione di stato a Vilnius (analogo tentativo fallì a Tallin in Estonia). Le reazioni militari violente non produssero nulla, oltre ai morti e all’odio verso il potere centrale moscovita (fu allora che vennero creati i famigerati OMN, le truppe del Ministero dell’interno incaricate della repressione, che causarono diverse decine di morti, imputate direttamente al Cremlino). Nel frattempo – 1989 – era caduto il muro di Berlino e la Germania Est aveva timidamente iniziato le pratiche per unificarsi con la Germania Ovest, cosa che poi avvenne il 3 ottobre 1990.

Insomma, simpatico quanto si voglia, giovane e pieno di energie, coraggioso interprete delle speranze dei popoli che chiedevano – e chiedono – il disarmo nucleare, favorito dalla presenza di una moglie bella e fedele, Gorbaciov non seppe però capire appieno i tempi che stavano vivendo i popoli delle Repubbliche Sovietiche e non ebbe esitazioni a cannoneggiare cittadini inermi, come in Georgia, in Azerbaigian, in Kazakistan, in Lituania, in Estonia. La sua formazione politica, costruita tra i contadini di Stavropol, forse non gli consentì di capire che avrebbe dovuto dare una svolta politica ed industriale più decisa, più veloce, per mettere l’URSS al passo con i tempi.

Una foto storica: Eltsin con il dito puntato intima a Gorbaciov lo scioglimento del Pcus

Ma Gorbaciov era innamorato della condizione di equilibrio tra gli schieramenti interni tra progressisti e conservatori, tra Eltsin e Shevardnadze da un lato e Ligaciov e Aliyev dall’altro, nella quale si muoveva e che lo faceva restare al potere. E questa condizione di equilibrio si ruppe e il grande vento dei tempi moderni spazzò via, velocemente e con violenza, Gorbaciov e la sua era. L’Unione Sovietica si dissolse, sotto le picconate di Eltsin, nacquero la CSI e gli altri popoli si diedero uno stato e una costituzione autonomi, e Michail da presidente dell’URSS divenne presidente della Fondazione  Internazionale Non-Governativa per gli Studi Socio-Economici e Politici (la c.d. Fondazione Gorbaciov) e il suo potere si è andato via via affievolendo, unitamente al numero di vani lasciatigli a disposizione nel grande palazzo di Leningradskij Prospekt che via via ad ogni cambio d’inquilino al Cremlino ha visto requisire prima tre stanze, poi un piano, poi due, fino a rimpicciolirsi nel ricordo di una grandeur perduta, e riconosciuta soltanto fuori dalla Russia.

Ha scritto Ezio Mauro su “La Repubblica” di ieri: “L’ultima volta che l’ho visto, Michail Sergheevic sedeva alla scrivania in maglione, senza bandiere a fianco. Alla fine mi ha portato nella stanza dei trofei, dove sui muri c’è una lunghissima teoria di fotografie che lo ritraggono con i grandi del mondo, Reagan, Arafat, Giovanni Paolo II, Jaruzelsky. Si fermava davanti alle immagini che erano tappe di un’altra vita, raccontava qualche segreto di quegli uomini potenti, il retroscena di un incontro. E il visitatore invece nelle foto guardava la sua immagine giovanile, quell’energia sovietica che spuntava dagli abiti di regime sempre uguali a sé stessi, e faceva sperare in una rivoluzione democratica che non avvenne, e tuttavia nella sua forma incompiuta e confusa rimise in movimento la storia e la geografia di un continente intero, imprigionate per decenni.”

L’ultimo Gorbaciov

In conclusione, pur con tutti suoi errori – gravissimi – Gorbaciov è stato un “grande” della storia del Novecento ed è grazie alla sua azione che abbiamo l’Europa di oggi e che sappiamo che si può parlare di disarmo nucleare (cosa che per il momento non interessa all’attuale inquilino del Cremlino ma – come diceva fra Cristoforo – “verrà un giorno”).

Con il titolo: 1987, Gorbaciov e Reagan firmano l’accordo sugli euromissili. Le foto dal web

 

 

Francesco Palazzo

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