di Gaetano Perricone
Uno degli aspetti più interessanti e originali, sotto il profilo culturale e antropologico, della vita sull’Etna è senza alcun dubbio il rapporto molto particolare e intenso tra la fascinosa Montagna, con la sua lava, e la fede religiosa.
Me ne sono occupato nel 2004, sul mio libro “La mia Etna. Dialogo con la Muntagna” (Giuseppe Maimone Editore). Immaginando di parlare con Idda, scrivevo così: “Ciò su cui mi interessa soffermarmi è questa lunghissima storia – intrisa di paura, religiosità profonda, credenze popolari, amore per te profondamente radicato – del rapporto tra la lava e la fede, un rapporto che si è manifestato negli anni attraverso la realizzazione. in vari punti del territorio del vulcano, di luoghi di culto davvero magici. Laddove, in pratica, nel corso delle varie eruzioni, le colate si sono improvvisamente fermate, le genti dell’Etna hanno prodotto una serie di simboli di fede – chiese, santuari, altari, statue, ex voto, dipinti – per ringraziare la Provvidenza per avere bloccato la “furia devastatrice del vulcano” (riporto testualmente la bruttissima frase, profondamente irriguardosa nei tuoi confronti, letta più volte nelle cronache dell’epoca)”.
Questa premessa mi è sembrata indispensabile per introdurre la storia della domenica, bellissima e appassionante, doverosamente dedicata a Sant’Agata, patrona di Catania, la Santuzza adorata dal suo devotissimo popolo etneo, che si festeggia oggi 5 febbraio con la tradizionale, grande processione nel cuore della città. Tratta dal piccolo, delizioso libretto “L’Etna, la lava e la fede” – una guida del luoghi sacri del vulcano promossa dal Parco e scritta mirabilmente dalla professoressa Maria Teresa Di Blasi, grande esperta dell’argomento, che ebbi il piacere di conoscere in quella occasione – , racconta uno degli episodi più significativi di questo fascinoso rapporto e si intitola “Nicolosi: il Velo Rosso di Sant’Agata“. Il Vulcanico la propone integralmente a chi non la conosce, ma anche ai tantissimi catanesi che la conoscono a fondo ma hanno sempre piacere di rileggerla.
(Maria Teresa Di Blasi). “Dalla cima dell’Etna sorse, ad un tratto, una colonna di fumo che si sparse per il cielo. Giunta molto in alto, la colonna di fumo si allargò, spandendosi da tutte le parti, come un pino e come un immenso ombrello. ‘Ecco, un’eruzione’, gridarono tutti a una voce … Già da lontano si scorgeva una colonna di fumo denso e nero che, scaturendo da fianco del monte, ci indicava il luogo dell’eruzione. In Catania la cenere giaceva per le strade alta un dito, un velo nerastro, venendo dall’Etna, avvolgeva la città: il sole aveva perduto il suo splendore, muovendosi come un globo rosso per il cielo. Molte carrozze, l’una dietro l’altra, salivano la strada che conduce da Mascalucia a Nicolosi; migliaia di curiosi correvano alla lava, che fin dal secondo giorno, stendendosi sempre più minacciosa, si volgeva verso Nicolosi e Belpasso.
Al sopraggiungere della notte l’orizzonte si coprì d’uno splendore rossastro, come se fosse un grandissimo incendio; un tetro rimbombo, simile a un tuono lontano, risuonò per l’aria; salendo più in su e per i villaggi, situati lungo la strada, troviamo dappertutto le chiese aperte e molte candele che ardono intorno all’altare. Sulle gradinate stanno, prostrati o genuflessi, uomini e donne; altri si vedono sulle porte delle case, ogni lavoro è interrotto. La gente, vestita a festa, guarda con l’espressione di una ansiosa aspettativa le carrozze che passano, aspettano la carrozza dell’Arcivescovo di Catania, il quale deve portare anche oggi il Velo di Sant’Agata a Nicolosi.
Lo splendore del fuoco sopra le nostre teste diviene sempre più chiaro, il tuono del monte sembra sempre più rimbombante: a un tratto, più in là, si ode una strano cantare e gridare. E’ veramente un cantare ? Veramente un gridare ? S’innalza subito, come un lamento stridente, e dopo si perde in un lungo e tetro sussurro, quasi venisse giù dal monte una folla innumerevole. Ecco che alla svolta di una cantonata si vedono dei lumi e delle torce che lentamente si avvicinano: le carrozze si fermano. ‘Sono i Santi !’, bisbiglia il nostro cocchiere, cavandosi devotamente il cappello. E se anche tu non credessi né a Sant’Antonio, né al miracoloso Velo di Sant’Agata, ti caveresti certamente anche tu il cappello come fanno tutti questi paesani e anche sui tuoi occhi spunterebbero le lacrime a quella vista”.
August Schneegans (“La Sicilia nella natura, nella storia e nella vita”, 1890), con queste parole ancora piene di trepidante commozione, ci ha lasciato una testimonianza diretta dell’arrivo del Cardinale Dusmet, che trasportava il Velo di Sant’Agata da Catania a Nicolosi, teatro della terribile eruzione del 1886. Certamente l’episodio appena descritto resta, nell’immaginario delle genti dell’Etna, il più significativo e il più ricco di pregnanti simbolismi religiosi. Oggi, nel luogo in cui la lava si arrestò miracolosamente, sorge una cappelletta (1886) con l’altare e le panche per assistere alle sacre funzioni. Sulla facciata, decorata da colonnine sormontate da un frontone spezzato, spicca la “Tavoletta di Sant’Agata” e l’iscrizione ‘DIVAE AGATAE SERVATRICI” (A Sant’Agata che ci salvata). Nel 1989, a destra dell’edificio, è stato realizzato un monumento bronzeo al Cardinale Dusmet.
La tradizione che attribuito al Velo di Sant’Agata un potere miracoloso contro le eruzioni ha origini antichissime. Narrano gli agiografi che un anno dopo la morte di Agata (252 d,C.) una moltitudine di persone afferrò il suo Velo che era rinchiuso nel sepolcro e con quello arrestò l’eruzione. Nell’iconografia agatina molte sono le tele che si riferiscono ai miracoli di Sant’Agata contro le eruzioni: tra le più interessanti, ricordiamo quella ottocentesca, conservata al Castello Ursino, del pittore Giuseppe Rapisardi che evoca il momento in cui il Beato Domenicano Pietro Geremia portò il Velo sul luogo dell’eruzione del 1444 e la tela settecentesca di Marcello Leopardi con Sant’Agata che intercede presso Gesù per liberare Catania dalle colate laviche.
Legato alla medesima eruzione devastante del 1886, di cui abbiamo appena riferito, è un altro altarino, poggiato su una piattaforma naturale di lava rappresa, che segna il punto in cui fu portata la statua di S. Antonio Abate; è datata 1986 ed è interamente realizzato in piccoli blocchi di pietra lavica. A qualche chilometro di distanza dal centro di Nicolosi è situata un’altra memoria miracolosa che, stavolta, riguarda l’eruzione lavica del 1776, quando la città si vide minacciata da vicino. In quell’occasione i nicolositi portarono sul luogo più critico le immagini sacre di Sant’Antonio di Padova, Sant’Antonio Abate e della Madonna delle Grazie. Il monumento attuale, conosciuto come “I tre Altarelli”, sorge nel luogo di quello più antico, che è andato distrutto”.
In homepage: Nicolosi, la cappelletta eretta dove si fermò la lava del 1886 e accanto la statua del cardinale Dusmet (mia foto)
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