di Antonella De Francesco
Cafarnao (Caos e miracoli) è il viaggio in un incubo che se per noi spettatori durerà un paio d’ore al massimo, per 1/3 dell’umanità e dei bambini del mondo accade per davvero. Acclamato e premiato al festival di Cannes, il film è ambientato in una Beirut che ripresa dall’alto sembra un’enorme discarica e racconta di vite disumane di adulti e soprattutto bambini senza nome, senza identità, mai dichiarati all’anagrafe che spesso non sanno neanche la loro vera età.
Recitato da attori non professionisti che hanno alle spalle storie simili per molti aspetti a quella raccontata e che per questo si muovono in quei luoghi sotto le riprese attente e ravvicinate della camera da presa, come in un giorno qualunque della loro tragica esistenza. La regista, Nadine Labaki, che ha dichiarato in più interviste di avere incontrato enormi difficoltà per tutto quello che realmente succedeva fuori dal set e che superava in drammaticità quello che lei intendeva denunciare, abilmente resta distantissima dalle riprese, non cerca il facile consenso, né la commozione degli spettatori ma si limita a “raccontare” l’infanzia violata, ciò che è fuori da ogni immaginazione, almeno per noi, e che invece succede davvero.
Il giovanissimo protagonista, Zain, incanta con il suo sguardo fisso, con la sua rabbia adulta per i soprusi subiti per parte sua e dei suoi fratelli, per il suo infaticabile desiderio di riscatto, per come trascina instancabile quei fardelli pesanti tutto il giorno e la sua vita stessa, senza scarpe, senza paura, senza presente ma mai senza sogni. Non arretra mai Zain ed è disposto a tutto per salvare se stesso e i bambini come lui. Perché in questo film non sono gli adulti a prendersi cura dei bambini, ma i bambini, il più delle volte, si sostituiscono agli adulti dai quali non hanno ricevuto nulla se non la “condanna” di essere stati messi al mondo e poi abbandonati.
Un film colmo di immagini da non dimenticare, nella speranza che da questo film in poi, se mai ci fosse ancora qualcuno, così spietato da ritenere di poter negare l’accoglienza a chi non ha perso il coraggio di scappare per salvarsi, se ne possa soltanto vergognare. Da non perdere .
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