di Francesco Palazzo

Quarantacinque anni fa (e un giorno) fa moriva Peppino Impastato, ucciso dalla mafia. Ma per stabilire che si trattava di un omicidio e che la responsabilità era da attribuire a Cosa Nostra sono stati necessari ben ventiquattro anni, per poi arrivare alle condanne di Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti. Di più, per convincere gli investigatori e la magistratura a riguardare la morte violenta di questo ragazzo di trent’anni non come sin dalle prime battute – si era ritenuto e scritto che fosse stato un attentato architettato dallo stesso Peppino Impastato nel quale sarebbe rimasto ucciso (richiamando quello che era capitato in occasione della morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli) – è stata necessaria tutta l’arguzia e la tenacia degli amici di Peppino, del fratello Giovanni e della mamma Felicia Bartolotta. Inoltre, il delitto, avvenuto in piena notte, passò inizialmente sotto silenzio perché nella mattinata della stessa giornata venne ritrovato il corpo senza vita dell’on. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, “giustiziato” dalle Brigate Rosse dopo un rapimento durato 55 giorni.

Moro e Impastato. La prima e accanto l’ultima pagina del giornale L’Ora di quel tragico 9 maggio 1978

Questi due omicidi, avvenuti nello stesso giorno, il 9 maggio 1978, rappresentano una delle pagine più buie della storia della nostra Repubblica. Forze eversive con interessi apparentemente differenti, si erano date convegno in quel giorno di primavera per mettere in ginocchio la libertà e la democrazia. Ma fu grazie al sapiente, costante, instancabile lavoro di un manipolo di giovani coraggiosi che erano cresciuti insieme ed accanto a Peppino Impastato, che il perverso gioco è stato scoperto e i responsabili assicurati alla giustizia.

Non mi dilungo nell’illustrare tutte le attività, gli accorgimenti, i sotterfugi, le paure, le intimidazioni, che la ricerca della verità ha comportato, perché ci sarebbe da scrivere e scrivere, e comunque chi abbia voglia di approfondire l’argomento troverà tutte le informazioni che vuole grazie al Centro Siciliano di Documentazione promosso dal prof. Umberto Santino e dalla moglie prof.ssa Anna Puglisi, intitolato proprio a Peppino Impastato. E’ stato proprio grazie agli studi e agli sforzi del prof. Santino, che da sempre studia il fenomeno mafioso, arrivando a parlare per primo – già cinquant’anni fa – del concetto di borghesia mafiosa e più recentemente di società mafiogena, che è stato possibile far cambiare idea alla magistratura e consentirle di aggiustare il tiro e quindi di pervenire all’accertamento dei fatti, dei reati e dei colpevoli.

Da destra: il procuratore Maurizio De Lucia, il giornalista Salvo Palazzolo, Giovanni Impastato durante il dibattito
Umberto Santino
Luisa Impastato

Però sono passati quarantacinque anni. E allora anche quest’anno si è proceduto alla commemorazione. E’ sempre triste procedere alle commemorazioni ma è necessario perché soltanto così si mantiene viva la memoria per il cittadino comune, che è opportuno che ricordando sappia, sappia cioè cosa è la mafia, cosa è la libertà, cosa è la democrazia. Inoltre, in queste occasioni si rinnovano i dibattiti, come quello che ha visto protagonisti a Cinisi il Procuratore capo della Repubblica di Palermo Maurizio De Lucia, il prof. Umberto Santino, il giornalista del quotidiano La Repubblica  Salvo Palazzolo, coordinati dalla instancabile e meravigliosa Luisa Impastato, figlia di Giovanni. In questa occasione il prof. Santino ha illustrato i concetti di borghesia mafiosa e di società mafiogena, risalendo perfino all’inchiesta di Franchetti e Sonnino “La Sicilia nel 1876”. Il dott. De Lucia ha voluto ricordare il 16 gennaio 2023, data della cattura di Matteo Messina Denaro, ed ha raccontato come si stia indagando sugli appoggi goduti nella latitanza dal boss e soprattutto sulle motivazioni sociali che hanno convinto tanti della popolazione di un intero paese, Campobello di Mazara, a girarsi dall’altra parte, facendo finta di non vedere. Il Procuratore ha parlato pure di come la nuova mafia stia cambiando pelle e di quanto importante sia per i mafiosi riprendere il potere criminale transnazionale attraverso armi e denaro. Il giornalista Palazzolo ha parlato delle numerose iniziative messe in piedi dal suo giornale per studiare e contrastare il fenomeno mafioso e poi ha molto opportunamente richiamato l’attenzione sul problema dell’adeguamento delle tutele da dare ai giovani giornalisti, spesso precari e con “stipendi” irrisori e soprattutto mandati allo sbaraglio. La nipote di Peppino, Luisa, ha parlato delle attività messe in piedi dalla Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino. Poi, nel corso del dibattito pubblico che ne è seguito, vari esponenti della società civile – tutti vecchi amici di Peppino Impastato – sono intervenuti per lamentare le condizioni in cui versano le piccole realtà comunali nelle quali vivono.

Il corteo

Bellissimo il tradizionale corteo che ha percorso il tragitto dalla storica sede di Radio Aut a Terrasini fino alla casa di Felicia Impastato a Cinisi. Gran sventolare di bandiere, bandiere rosse, bandiere della pace, bandiere No MUOS, con in testa gli storici striscioni “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”, “La mafia uccide il silenzio pure” e “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”. Poi, giunto il corteo a destinazione, dal balcone di casa si sono alternati Giovanni Impastato, la figlia Luisa, la prof.ssa Annalisa Savino, la preside della lettera agli studenti dopo il pestaggio fascista in un liceo di Firenze che è stata richiamata dal ministro Valditara a non politicizzare l’attività della scuola, Adelmo Cervi, il figlio di uno dei sette fratelli Cervi trucidati dai fascisti a Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943, il prof. Santino, ed infine la signora Graziella Accetta, madre del piccolo Claudio Domino, altra vittima della criminalità mafiosa il 7 ottobre 1986, di cui ancora non si conoscono esecutori, mandanti e movente, e sono passati trentasei anni! Di tutti i bellissimi discorsi che sono stati fatti dal balcone di casa Impastato, il più forte, il più veemente e, in definitiva, il più concreto è stato quello del vecchio partigiano Adelmo Cervi (quando fu ucciso suo padre Aldo, Adelmo aveva solo quattro mesi) che ha richiamato tutti ad essere antimafiosi, antifascisti ed anticapitalisti, che poi vuol dire: viva la libertà e viva la democrazia.

Con il titolo: la testa dello splendido corteo, pieno di ragazzi di tutta Italia, per ricordare Peppino Impastato nel 45esimo anniversario del suo assassinio mafioso. Il reportage nella fotogallery è di Francesco Palazzo

Francesco Palazzo

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