di Santo Scalia

L’isola di Vulcano è la più meridionale delle sette principali dell’arcipelago delle Isole Eolie, dette anche Isole Lipari. In realtà si tratta di dodici isole, tra grandi e piccole: Lipari; Vulcano; Alicudi; Filicudi; Salina; Panarea; Stromboli – quelle più grandi; Basiluzzo; Dattilo; Lisca Bianca; Bottaro; Lisca Nera – le più piccole.

Tra queste, Vulcano, Lipari, Stromboli e Panarea sono aree vulcaniche attualmente attive, o che sono state tali in un recente passato.

L’evoluzione di Vulcano ha evidentemente avuto varie fasi: la prima risale a circa 120.000  anni fa, quando emerse un primo edificio vulcanico, quello che corrisponde ai due terzi meridionali dell’isola attuale. Seguì poi la formazione della Caldera del Piano, e la nascita  del vulcano di nord-ovest, traccia del quale si trova oggi nei Monti Lentia. Circa 10.000 anni fa, una seconda caldera si generò in conseguenza dello sprofondamento di questo vulcano, al centro della quale sorse il Vulcano della Fossa, il cono principale che conosciamo oggi. Infine, in tempi storici (agli inizi del II secolo a.C.), nell’area a nord dell’isola si è formato il raggruppamento di ben tre crateri, che nell’insieme oggi denominiamo Vulcanello.

L’isola nell’antichità fu denominata Hiera dai latini (Ἰερά, Iera, cioè sacra, dai greci), ma anche   Ἥφαιστου νῆσοςisola sacra a Efesto, dio del fuoco), Thermessa,  Therasia. Numerose sono le notizie sull’attività vulcanica ivi presente tramandateci da vari autori, anche se a volte generiche e non circoscritte temporalmente.

Tucidide, storico ateniese (vissuto all’incirca tra il 460 ed il 395 a. C.),  nella sua opera Ιστορίας (Storie III 88) descrive l’arcipelago del Mar Tirreno ricordando che «Nelle isole sono stanziati i Liparesi, coloni dei Cnidi, che abitano su una delle isole, poco estesa, di nome Lipara. Salpando da questa coltivano le altre: Didime, Strongile e Iera. Gli abitanti di laggiù sono convinti che a Iera Efesto si affatichi alla sua fucina: giacché di notte si vedono sprigionarsi le fiamme, di giorno il fumo.» (traduzione a cura di Emilio Piccolo, Senecio EditoreNapoli – 2009).

Aristotele (grande filosofo greco vissuto tra il 384 ed il 322 a.C.) diede per primo il nome ‘cratere’ alle bocche vulcaniche. Trattando delle eruzioni vulcaniche – nel capitolo ottavo del secondo libro della sua Meteorologica (o Libro delle meteore) – ne riporta una, avvenuta nell’isola di Hiera, e racconta che «In essa infatti una parte della terra si gonfiava, e si sollevava con rumore una massa simile ad un colle: infine essa si squarciò e ne fuoriuscì un violento soffio che proiettò anche faville e cenere, e coprì l’intera città di Lipari, che non è molto distante […]» (Meteorologica, 367a, 5-10 – traduzione di Lucio Pepe, Guida Editori – Napoli – 1982).

Altri autori dell’antichità hanno lasciato traccia delle attività eruttive del vulcano: Teofrasto, filosofo greco di Ereso – allievo e successore di Aristotele nella direzione del Peripato, che tenne dal 322-21, anno della morte del maestro, fino al 288-87 o 287-86, anno della sua morte – riferisce forse della stessa eruzione di cui aveva scritto il suo predecessore. L’ateniese Callia (vissuto nel IV secolo a. C.) scrive che dal monte uscivano molte fiamme visibili a grande distanza, e che questo a volte lanciava massi incandescenti di smisurata grandezza. La testimonianza di Teofrasto e di Callia è riportata nello Scoliaste di Apollonio Rodio (poeta greco di Alessandria, circa 295 – circa 215 a. C.).

Uno degli eventi più straordinari, riportato da vari autori, avvenne nel corso del secondo secolo a.C., forse nel 183: la nascita di una nuova isola.

Strabone. Geografia, Libro VI

Come racconta lo storico e geografo greco Strabone (vissuto tra il 60 a.C. ed il 20 d.C.) nel libro sesto dell’operaGeografia (Γεωγραϕικά) «[…] sono state vedute fiamme scorrere dalle profondissime caverne de’l fuoco, havendosi aperta qualche uscita, e sbucare fuori per forza […]». Riportando la testimonianza di Posidonio (filosofo e scienziato greco (nato a Apamea di Siria 135 a. C. circa – morto intorno alla metà del secolo 1º a. C.), Strabone scrive: «[…] Posidonio dice che a sua memoria, intorno al solstitio della state tra Hiera, & Euonima [Panarea, n.d.A.], fu veduto il mare estremamente essersi innalzato, & cosi rimanere, per un tempo, continuamente gonfiato, & dopo finalmente cessare. Et alcuni, i quali hebbero ardire d’andarvi con alcune navicelle, viddero de’l pesce morto, portato dalla corrente. Altri, offesi da’l calore, & da’l puzzo, si fuggirono. […] Et che molti giorni dapoi si vedeva de’l fango sorgere per il mare, & in molti luoghi uscire fiamme, fumi, & caligini, ultimamente essersi congelato in una ghiaccia simile a’ macigni. Il che Tito Flaminio, governatore della Sicilia fece intendere al Senato, il quale comandò che, cosi in questa isoletta, come in Lipari, fussero fatti sacrificii agli Iddij dell’inferno, & parimente a quelli del mare. […]» [traduzione di M. Alfonso Buonacciuoli, 1562, inLa prima parte della Geografia di Strabone, pag. 113].

In seguito a questi eventi si formò, a nord dell’isola di Vulcano, una nuova isoletta, formata dai tre crateri che nel loro insieme oggi chiamiamo Vulcanello. Quest’isola minore per lungo tempo rimase separata dalla più grande isola di Vulcano. Successivamente, come vedremo, si unì all’isola più grande, grazie ai prodotti emessi da un’eruzione.

San Adamnàn (Adamnano di Iona – monaco irlandese, 625 c.a. -704 ) nel VII secolo dopo Cristo, scrisse un’opera dal titolo De Locis Sanctis (I Luoghi Santi) nella quale, citando la testimonianza del vescovo francese Arculf, parlò di una attività eruttiva del vulcano. Per essere venuto a conoscenza di questa fonte sono grato all’amico professor Enzo Farinella, siciliano di Gangi che vive ormai da tempo in Irlanda, che del monachesimo irlandese è uno dei massimi esperti.

 

Troviamo riportata la testimonianza di Arculfo in vari testi, fra i quali il manoscritto di Venantius Fortunatus (conservato presso la Bibliothèque Nationale de France, Département des manuscrits), il volume Adamanni Scotohiberni Abbatis celeberrimi, De Situ Terrae Sanctae (pubblicato da Elisabeth Angermair nel 1619) e gli Itinera Hierosolymitana et descriptiones Terrae Sanctae (pubblicato a Ginevra nel 1879).

Intorno al 943 il viaggiatore arabo Al-Masûdî, nativo di Bagdad, scriveva l’opera Murûg ad-dahab. In essa, prima di descrivere l’isola di Sicilia, fa cenno al Gabal ‘al burkân (Monte del Vulcano), «[…] quel che manda fuoco, misto ad [altre] materie ed a grandi corpi. […] L’isola che s’addimanda ‘al Burkân è l’ ‘atîmah (cratere) che erutta de’ corpi ignei rassomiglianti ad uomini senza testa» (sic!). Poi specifica che «’atîmah vuol dire fonte di fuoco che spiccia dalla terra».

Anche Al-Qazwînî, definito “il Plinio degli Arabi”, vissuto nel tredicesimo secolo e autore di una cosmografia che descrive l’intero pianeta allora conosciuto, nell’opera Atâr al-bilâd scrive dell’isola di Vulcano: «Non avvi al mondo vulcano più terribile all’aspetto, né più maraviglioso in sostanza. Quando tira vento, vi s’ode un gran rombo, come di fortissimo tuono. In questo vulcano si cava del solfo, [di qualità] che non se ne trova l’uguale in altro paese».

Entrambe le citazioni su riportate sono state tradotte dall’arabo da Michele Amari, storico, politico e arabista siciliano dell’Ottocento.

Una notevole attività del vulcano avvenne nell’anno 1444, il 5 febbraio: vari autori sono concordi nell’affermare che nelle prime ore di quel giorno una gran quantità di infuocati sassi vennero scagliati dal cratere ed alcuni di questi caddero anche in mare. Questo fatto viene riferito anche dallo storico siciliano Tommaso Fazello (1490-1570), che aggiunge un fatto nuovo: fino ai suoi tempi, poco a nord dell’isola sacra al dio Vulcano, si trovava un’altra isoletta (quella nata dal mare probabilmente nell’anno 183 a.C.) che già nel Cinquecento veniva denominata Volcanello; l’isola «[…] ch’è divisa da Vulcania da uno strettissimo braccio di mare, e quest’Isola si vede anch’ella qualche volta gittar fuoco. Questo seno, ò braccio di mare infino à miei tempi fu navigabile […] ma hora è stato ripieno dalle ceneri, e da’ sassi, che son gittati dall’Isola di Vulcania». [da Le due deche dell’historia di Sicilia del R.P.M. Tomaso Fazello, pubblicato a Venezia nel 1573].

Vulcanello quindi, nata come isola separata dalla principale, fu riunita ad essa tramite l’istmo che ancor oggi conosciamo, la stretta striscia sabbiosa che separa il porto di levante da quello di ponente.

Particolare da Les isles de Lipari et Vulcan, es costes de Sicille, 1699 di Michelot Henry (BNF)

Circa un secolo dopo – secondo alcuni nel 1550, secondo altri intorno al 1525 – una nuova attività scosse l’isola, e c’è chi ipotizza che proprio in seguito a tale attività sia avvenuto il congiungimento tre le due isole di Vulcano e Vulcanello, di cui abbiamo letto nell’opera del Fazello.

 Nel corso del diciassettesimo secolo, attività eruttive a Vulcano sono riportate negli anni 1626 (a maggio); nel 1646 (della quale scrive anche Lazzaro Spallanzani); nel 1651 (anche se su questa eruzione ci sono molti dubbi) e forse anche nel 1688.

Nel Settecento, la prima eruzione certa pare sia quella del 1727, secondo la testimonianza di Jacques Philippe d’Orville, studioso franco-olandese (1696-1751), che fu sull’isola nel mese di luglio e vide che venivano eruttati “infuocati sassi” (nel volume Sicula, quibus Siciliae veteris rudera, additis antiquitatum tabulis illustrantur pubblicato nel 1764 ad Amsterdam).

Pochi anni dopo, copiose emissioni di ceneri e lapilli avverranno: nel 1731, nel 1732, e nel 1739, anno in cui una notevole attività sismica interessò, oltre che l’isola, anche le coste settentrionali della Sicilia. Fu proprio in quell’anno che una lingua di lava riolitica (roccia  effusiva derivante da magmi di composizione nettamente acida, molto ricca in silice, quali  lossidiana) conosciuta come “Pietre Cotte traboccò dall’orlo craterico arrestandosi proprio al piede del cono,

E ancora nel 1771, da febbraio a maggio, copiose emissioni di cenere ricoprirono anche la vicina isola di Lipari. Vulcano non mancò di farsi notare ulteriormente nel 1780, nell’83 e nell’86, mentre i primi decenni dell’Ottocento furono caratterizzati da notevole attività fumarolica, a volte anche a Vulcanello.

Da notare che nel periodo 1822-23 alcuni autori riportano di aver notato oltre “all’ordinario  fumo giornaliero che sorge dalla sua cima, in alcune sere, le fiamme e varie detonazioni”.

Il ciclo eruttivo – almeno secondo il parere di Giuseppe Mercalli – iniziato nel 1873 e protrattosi con blande manifestazioni fino al 1888, è stato l’ultimo prima della quiete che perdura sull’isola ormai da 131 anni. A partire dal 7 settembre 1873 e fino al 20 ottobre testimoni oculari, compreso il vulcanologo Orazio Silvestri, osservarono esplosioni di vapori, ceneri e pietre infuocate.

L’ultima eruzione verificatasi a Vulcano è avvenuta tra l’agosto 1888 e il 22 marzo 1890; anche se già in passato questo blog ne ha trattato ( ilVulcanico.it del 21 ottobre 2019) ed è stata ampiamente e magistralmente descritta sulle pagine del sito IngvVulcani.it, vogliamo riassumerla nuovamente, essendo l’unica delle eruzioni dell’isola ad essere stata documentata anche fotograficamente.

L’eruzione, cominciata nella notte tra il 2 ed il 3 agosto, fu caratterizzata da “grandiose esplosioni” – come ebbe a scrivere Platania – e dall’assenza di emissione di colate laviche; vi furono principalmente due fasi, separate da un paio di settimane di assoluta quiete: una prima fase, caratterizzata da attività più intensa, durò circa tre giorni, dal 3 al 5 agosto del 1888; la seconda, dal 18 dello stesso mese, si esaurì il 22 marzo 1890 e presentò un’attività più moderata, con vari, ma brevi, periodi di quiete.

Una relazione scientifica sull’eruzione, scritta subito la fine della stessa, fu pubblicata da Giuseppe Mercalli ed Orazio Silvestri col titolo Le eruzioni dell’Isola di Vulcano, incominciate il 3 agosto 1888 e terminate il 22 marzo 1890 (al proposito c’è un interessante articolo sulle pagine di geoitaliani.it).

Certamente più di un secolo fa la sorveglianza ed il monitoraggio dei vulcani attivi era ben lontano da quello che è oggi; sorprende comunque la testimonianza del Professor Orazio Silvestri, che descrive così l’esordio del vulcano: «[…] senza segni precursori, tranne un leggero terremoto avvertito a Messina due giorni prima, tutto ad un tratto alle 12 e 40 [le ore 00:40, n.d.A.] si sentì una forte esplosione di Vulcano accompagnata da leggiero tremito e da detonazioni come profonda scarica di formidabile artiglieria. Alla prima esplosione ne succedette una seconda, a questa una terza ed in seguito altre, sicché tutta la popolazione delle varie isole dell’Arcipelago Eolio fu sorpresa da serio timore» [da  L’isola di Vulcano e l’attuale suo risveglio eruttivo, 1889].

L’eruzione di Vulcano «[…] terminò con un’esplosione nel mese di maggio 1890, dopo di che l’attività si ridusse a semplice esalazione fumarolica.» [da Ottorino De Fiore, Brevi note sull’attività di Vulcano (isole Eolie) dal 1890 al 1924, pubblicato nel 1925].

Per le notizie relative all’ultima eruzione di Vulcano, molto utile è la consultazione della pubblicazione Materiali per un catalogo di eruzioni di Vulcano e di terremoti delle isole Eolie e della Sicilia nord-orientale (secc. XV-XIX), apparsa in Quaderni di Geofisica n. 143 dell’I.N.G.V.

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Variazioni di temperatura (°C) nelle Fumarole sull’orlo del versante Nord del cono La Fossa tra giugno ed agosto (dal Bollettino mensile sul monitoraggio geochimico dell’isola di Vulcano dell’INGV – Agosto 2021)

Di recente, Vulcano è tornato sui principali titoli dei mezzi di informazione a causa di significative variazioni dei principali parametri”: infatti nel corso della scorsa estate, ed in particolare a partire dal mese di settembre 2021, i sistemi di monitoraggio dell’INGV hanno messo in evidenza l’alterazione di alcuni segnali geofisici e geochimici registrati. Ma quali sono questi parametri? Principalmente si tratta della temperatura delle fumarole crateriche; dei flussi di CO2 e di SO2 in area craterica, alla base del cono di La Fossa e nell’area di Vulcano Porto; della geochimica dei gas fumarolici e degli acquiferi termali; delle componenti clinometriche, delle variazioni gravimetriche ed infine della sismicità locale.

Registrazione automatica del flusso diffuso di CO2 dal suolo nel sito posto a Est dell’area fumarolica (da Bollettino settimanale – settimana di riferimento 01/11/2021 – 07/11/2021 dell’INGV)

 

In seguito a queste osservazioni la Protezione Civile ha innalzato il livello di allerta da verde a giallo. Ciò ha condotto il Sindaco di Lipari – comune del quale fa parte l’isola di Vulcano – ad emettere delle apposite Ordinanze Sindacali con le quali ha inizialmente consentito l’accesso al Cratere esclusivamente con l’accompagnamento delle guide alpine e/o vulcanologiche (ordinanza n° 113 del 02/10/2021) e in seguito vietato la scalata al “Cratere della Fossa” (ordinanza n° 115 del 14/10/2021). L’Amministrazione comunale ha inoltre emesso un comunicato stampa (il 28 ottobre) per precisare le “procedure più corrette da seguire e i comportamenti da adottare in caso si osservino situazioni anomale che possano essere dovute a emissioni gassose”.

In particolare, un marcato aumento dei livelli di emissione di anidride carbonica (o biossido o anche diossido di carbonio), riscontrato soprattutto nella cosiddetta zona rossa (o zona A), tra il Faraglione (prossimo al porto di levante) e Vulcanello, ha indotto il Sindaco di Lipari ad emettere l’Ordinanza contingibile ed urgente n° 124 del 20 novembre 2021, con la quale si vieta il pernottamento e la permanenza, dalle ore 23:00 alle 06:00 nella suddetta area: di fatto si chiede l’evacuazione della zona, ed il provvedimento coinvolge all’incirca 250 abitanti dell’isola. Contemporaneamente, per la durata di un mese, viene vietato lo sbarco sull’isola per motivi turistici. La quantità giornaliera di CO2 emessa è passata da 80 tonnellate a 480! (fonte lasiciliaweb).

Vanno infine segnalate, per completare il quadro delle varie fenomenologie nella zona, che altre scosse di terremoto negli ultimi 2 giorni (1 e 2 dicembre 2021) al largo delle isole Eolie. L’ultima, di magnitudo 2.4, è stata registrata ad una profondità di 7 chilometri a largo di Salina. Un’altra scossa, di magnitudo 3.8, era stata registrata a una profondità di 233 chilometri nei pressi di Lipari. Da alcuni giorni un’intensa attività sismica sta interessando l’area del mar Tirreno a nord della Sicilia, fino allo stretto di Messina.

Cosa ci si può aspettare nel prossimo futuro? Forse un ulteriore aumento del degassamento sia fumarolico, sia diffuso; degli incrementi della temperatura dei gas e dei loro flussi; un incremento della sismicità legata alla attività idrotermale ed eventualmente la comparsa di sismicità vulcano-tettonica. Ci si può aspettare anche un incremento delle deformazioni e delle variazioni gravimetriche che preluderebbero alla risalita di una massa magmatica… o nulla di tutto questo. Tutto potrebbe rientrare nei valori normali, il livello di allerta potrebbe allora tornare a colorarsi di verde e la vita dei circa 450 vulcanari residenti sull’isola potrebbe tornare alla normalità.

Concludo, come in altre occasioni, proponendo alcuni testi sull’argomento trattato:

I vulcani attivi delle Isole Eolie – Cavallaro C., Faro A. –  Sagep – 1993

Vulcano – Giustolisi V. – 1995

Houel J.P. – Viaggio pittoresco alle Isole Eolie – 1996

Vulcano – AA.VV. – Affinità Elettive – 1998

L’Ile de Vulcano – Grandpey C. – L.A.V.E. – 2005

Vulcano –  Di Nora A., Diaz M. del Mar – Arbatus Editrice – 2006

Quaderni di Geofisica N. 143 – I.N.G.V. – 2014

Vulcano – Luigi S. d’Austria – Biblioteca dell’Immagine – 2015

L’eruzione di Vulcano del 1888-1890 nelle Isole Eolie – Manitta G. – Il Convivio – 2018

Con il titolo: il Cratere di Vulcano Litografia pubblicata da R. Bowyer, 1809

 

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