di Marco Neri
E sono sette eruzioni in dodici giorni. L’Etna ha aspettato una soleggiata domenica mattina di fine febbraio per intonare la sua settima sinfonia del 2021. Come spesso accade, ha spiazzato un po’ tutti, passando in pochi minuti dalla totale calma apparente al parossismo eruttivo dopo che, da quattro giorni, appassionati e vulcanologi l’avevano inutilmente attesa al varco. Un “ritardo” sorprendente e gravido di incognite solo per chi non conosce questa montagna bizzosa ed irascibile, per alcuni versi imperscrutabile.
Infatti, da cinquant’anni a questa parte, il Cratere di Sud-Est ha prodotto centinaia di fenomeni simili: a volte sono stati frequentissimi, fino a tre in un solo giorno, mentre in altre occasioni i parossismi sono avvenuti con intervalli molto più ampi, fino a settimane, a volte mesi. Ma questo è solo ciò che il vulcano esprime in superficie. I motivi di questa a volte frequente e violenta attività li possiamo solo immaginare, non senza difficoltà, riempiendo i computer di numeri, diagrammi, mappe, provenienti dalle reti di monitoraggio che avvolgono l’Etna come fitte ragnatele invisibili. A volte ci capiamo qualcosa, ma altre volte, sinceramente, navighiamo un po’ a vista, senza raggiungere una reale capacità predittiva nel medio-lungo termine.
Ma la vita va avanti, anche durante i parossismi eruttivi. Passata la breve tempesta di fuoco in cima al vulcano, che in questo caso ha anche drappeggiato con una dannifica coltre di lapilli e ceneri i centri abitati del versante orientale, si pensa subito a ripulire, riassettare, resettare. Le mascherine anti-covid, simbolo di questi tempi incerti e bui, ci vengono in aiuto anche per non respirare le polveri vulcaniche che di certo non farebbero bene ai nostri polmoni.
Anche il fruttivendolo ci concede una serafica posa per una foto di contesto. Davanti a sé ha la sua frutta da vendere, ma alla sua destra ha il rudere della Chiesa antica di Fleri distrutta dal sisma del 2018, mentre alle sue spalle il vulcano esplode. È la sintesi di una terra estrema ed allo stesso tempo accogliente, che ha forgiato un popolo che non la irride né sottovaluta, ma vive in simbiosi con essa e con le sue fatali, ineluttabili avversità.
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