di Santo Scalia

Il 27 maggio 1911 una depressione larga un centinaio di metri si era prodotta sul fianco nordorientale del Cratere Centrale, a 3160 metri di altezza. Era nato il primo dei crateri subterminali dell’Etna, denominato Cratere di Nord-Est.

Erano trascorsi soltanto poco più di tre mesi da quell’evento quando, il 10 settembre di 110 anni fa, un sistema di fratture si aprì tra circa 3000 m. e 1650 metri. Dalle bocche apertesi tra i 2550 m. e 1650 m. scaturì un flusso di lava che, allungandosi in direzione nord-est, raggiunse una lunghezza di circa 7,5 chilometri.

L’interruzione della Statale 120 e della FCE (da Carta Geologica dell’Etna – INGV 2011)

La colata, dopo aver interrotto i binari della Ferrovia Circumetnea e la strada statale tra Randazzo e Linguaglossa (precisamente tra gli abitati di Rovittello e Solicchiata), si fermò intorno ai 550 metri s.l.m.

L’eruzione si esaurì il 22 settembre, dopo appena 12 giorni. Si stima che in tale periodo di tempo siano stati emessi 27 milioni di m3 di lava, e poco più di un milione e mezzo di materiali piroclastici.

Nonostante la brevità dell’eruzione i danni arrecati furono notevoli, tanto che il settimanale Album dell’Illustrazione Popolare (N.39 del 21-27 settembre 1911) titolò «La spaventosa eruzione dell’Etna», e descrivendo così gli avvenimenti: «L’Etna si è ridestato: ha vomitato piogge di ceneri e lapilli e orrende valanghe di lava, che nella notte del 12 settembre si divise in più correnti, distruggendo a Castiglione, a Linguaglossa e altrove, vigneti, case, cisterne; rovinò la ferrovia circumetnea: coperse di cenere le strade di Catania. Da 79 nuove bocche scese rapidissima, veemente la lava».

L’anno successivo Gaetano Platania riassunse le fasi salienti dell’eruzione in un lavoro dal titolo La grande eruzione etnea del settembre 1911, pubblicato a Firenze sulla Rivista Geografica Italiana (Anno XIX – Fasc. VII).

Nella pubblicazione, lo studioso parte dalla considerazione che «l’eruzione del marzo-aprile 1910 aveva avuto una durata assai breve ed una fine troppo repentina per poter prevedere un lungo periodo di calma». Dopo qualche segnale, dovuto alla risalita del magma all’interno del condotto principale, manifestatosi il 27 dicembre 1910 e poi nuovamente il 5 , l’8 ed il 25 gennaio successivo, nella mattina del 27 maggio, come già detto, un nuovo cratere si era aperto sul fianco del Cratere Centrale. Finalmente «la mattina del 10 settembre, a ore 2,14, avvertii, ad Acireale, una scossa che fece scricchiolare i mobili e tremare il soffitto».

Alcuni scatti di Gaetano Ponte (AFT)

Alle 9,40 Platania osservò del fumo giallastro poco più in basso del nuovo cratere, e delle fratture man mano si propagavano verso quote più basse. Gaetano Ponte, studioso originario di Palagonia, e allora docente di mineralogia presso l’Università di Catania, ci ha lasciato un’interessante documentazione fotografica dei fenomeni eruttivi, oggi conservata presso l’AFT (Archivio Fotografico Toscano) e raggiungibile anche dalle pagine web dell’INGV Osservatorio Etneo di Catania.

I settimanali più in voga al tempo si soffermarono soprattutto sulle sofferenza delle popolazioni etnee, e sul loro rivolgersi ai Santi Protettori per scongiurare il pericolo del vulcano: il settimanale romano La Tribuna Illustrata nel numero del 24 Settembre 1911 (Anno 19 – N. 39) pubblicò in copertina «una scena caratteristica davanti all’eruzione dell’Etna», con la gente inginocchiata davanti alla processione con le reliquie dei Santi mentre un fiume di lava incombe poco più avanti.

Il milanese La Domenica del Corriere (Anno XIII n. 39 del 24 Settembre – 1 Ottobre 1911) nel retrocopertina pubblicò un disegno di Achille Beltrame, raffigurante una poco verosimile valanga di sole donne, disperate e messe in fuga dall’arrivo di un improvviso flusso lavico aggiungendo la didascalia seguente: «L’eruzione dell’Etna: precipitosa fuga di donne sorprese dalla lava mentre pregavano».

Fortunatamente l’eruzione non danneggiò nessuno dei centri abitati minacciati: né i più vicini Solicchiata e Rovittello, né i più distanti Randazzo e Castiglione. I danni li subirono invece i vigneti (ricchi di uve ancora sulle viti), noccioleti e castagneti.

«Quelle zone sterili una volta, sono ora nella massima parte ubertosi vigneti che rendono dai 15 ai 20 ettolitri per ogni mille piante. Sono noccioleti che producono tesori, sono castagneti ricchissimi. […] E su questi tesori, frutti di immani sacrifici, su questo strato di oro, la lava corre infaticabile, bruciando, devastando, distruggendo, seppellendo» (dal quotidiano La Stampa del 14 settembre 2011).

Se l’eruzione si fosse protratta più a lungo, certamente i danni sarebbero stati ancora più pesanti: dalla cartina schematica del Professor Gaetano Ponte si nota infatti che i fertili territori in prossimità dell’abitato di Castiglione e la ricca valle del fiume Alcantara sarebbero stati raggiunti e ricoperti dalle lave.

Un grazie particolare va all’amico Pippo Raiti per la sua preziosa collaborazione.

Con il titolo: elaborazione di mappa schematica da Gaetano Ponte (Nature del 13 ottobre 1923)

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