Con Azeglio Vicini a Palermo per Italia-Olanda del 26 settembre 1990(Gaetano Perricone). Appena ho appreso stamattina, con molta tristezza e nostalgia, della morte, a 85 anni, dell’ex tecnico della Nazionale azzurra di calcio  Azeglio Vicini, ho rispolverato dall’album dei miei ricordi più belli questa foto con lui, allo stadio della Favorita, prima dell’amichevole Italia-Olanda a Palermo del 26 settembre 1990 (1-0, gol di Roby Baggio), giocata dopo la fine degli esaltanti, ma sfortunati Mondiali delle “notti magiche” e del super Totò Schillaci. Vicini guidò dalla panchina una splendida Nazionale ricca di grandi campioni e fu persona dal tratto signorile e pacato. La sua scomparsa, alla vigilia dei prossimi, tristissimi Mondiali senza l’Italia, mi rattrista parecchio e mi riporta a uno dei periodi più entusiasmanti della mia vita professionale, compresa la indimenticabile serata da inviato per il giornale L’Ora allo stadio San Paolo di Napoli, in occasione della dolorosa eliminazione dell’Italia ad opera dell’Argentina di Diego Maradona nella semifinale di Italia ’90. Giovane cronista sportivo, ha lavorato fianco a fianco con me in quel periodo, condividendo un pezzo di vita speciale, il mio carissimo amico Adolfo Fantaccini, oggi apprezzato giornalista dell’Agenzia Ansa, che ha subito sentito Totò Schillaci, il mitico bomber palermitano di Italia ’90, lanciato in Nazionale proprio da Vicini in quell’appassionante, coinvolgente Mondiale. Pubblichiamo le commosse parole di Schillaci in ricordo del tecnico che lo fece conoscere a tutto il mondo e il bel ritratto del mister scomparso di Adolfo Fantaccini, che ringraziamo di cuore per il suo prezioso e prestigioso contributo. Insieme a lui, ricorderemo sempre con affetto Azeglio Vicini e la sua Nazionale.

ADOLFO TISTUZZA DI MINCHIAFonte: ANSA, di Adolfo Fantaccini.

Mi sono svegliato e ho appreso questa notizia. Per me è un giorno tristissimo, perché è morta una persona che mi ha regalato popolarità e notorietà. L’80 per cento del mio successo lo devo a lui. Vicini è stato importantissimo per me. Mi ha dato la Nazionale e mi ha fatto diventare Totò Schillaci. Io l’ho ripagato con i gol”.

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Così Totò Schillaci, bomber di ‘Italia ’90’, ricorda parlando all’Ansa il ct che lo lanciò al mondiale. “Ricordo – aggiunge – che, contro l’Austria, nella prima partita dei Mondiali, mi portò in panchina e, siccome non riuscivamo a sbloccare il risultato, mi chiamò e mi disse: ‘Entra e fai gol, Totò’. Io non capii più nulla, tanto ero emozionato, ma il gol dell’1-0 arrivò. Per Vicini il gruppo era tutto e infatti portò in Nazionale il gruppo dell’Under 21, io ero l’ultimo arrivato. Rischiò facendomi giocare e oggi non so chi sarebbe disposto a farlo. Con Vicini è andata via una parte di me, ho avuto la fortuna di conoscerlo. Era una persona seria, come lo era il suo vice Brighenti, amava i siciliani ed era un grande esperto di vino“.

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Per andarsene, Azeglio Vicini ha scelto i giorni della merla, i più freddi dell’anno, lui che, con una Nazionale tutta cuore, orgoglio, freschezza e passione, aveva scaldato i cuori di milioni di italiani che, mai come allora (unico precedente a Messico ’70), si legarono ai colori azzurri. Erano i giorni di ‘Italia ’90’, quelli delle ‘notte magiche’ cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, delle suggestive, colorate e fragorose serate romane che Venditti, in un brano azzeccatissimo definì di “musica e fotografia”. Invece, quelle furono serate di calcio. E di trionfi annunciati.

Forse troppo. Azeglio Vicini, nato e Cesena il 20 marzo 1933 morto nella notte a Brescia, dove viveva da 50 anni, entra nella storia come il ct dal volto umano, dai modi garbati e gentili, dagli indiscussi meriti: primo fra tutti quello di avere ricostruito una Nazionale uscita con le ossa rotte dal Mondiale dell’86 in Messico, dove si era presentata con il titolo in tasca, ma troppo molle per potersi opporre a Platini e Maradona, re indiscusso dell’Azteca.

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Bearzot abdicò ingloriosamente e Vicini ne raccolse il testimone, portandosi dietro una voluminosa esperienza federale. E’ stato l’ultimo Commissario Tecnico a muovere i primi passi a Coverciano, assistendo al fianco di Bearzot l’avventura di Ferruccio Valcareggi a ‘Messico ’70’. Prima di sedersi sulla panchina della Nazionale maggiore allenò pure l’Under 21. Proprio quest’ultima rappresentativa gli diede le prime soddisfazioni personali, sfiorando la conquista dell’Europeo di categoria nel 1986, dove si arrese alla Spagna del ‘paratutto’ Ablanedo, pupillo di Luis Suarez. All’andata, sul terreno del Flaminio, finì 2-1 per gli azzurrini, al ritorno di Valladolid gli spagnoli ricambiarono la cortesia, poi salì in cattedra Ablanedo e parò tre rigori. I tiri dal dischetto gli hanno negato uno e forse due trofei, con i quali sarebbe diventato l’allenatore azzurro più vincente dopo l’alpino Vittorio Pozzo.

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Italia-Argentina a Napoli: il portiere Goycoechea para il rigore di Aldo Serena

Sempre ai rigori, ma questa volta a ‘Italia ’90’, in un San Paolo di Napoli diviso dalle parole di Maradona alla vigilia (“… l’Italia pensa al sud solo nei momenti del bisogno“), alla squadra di Vicini venne negata la finale di Roma contro la Germania. Caniggia replicò a Schillaci e, dal dischetto, il portiere argentino Sergio Goycoechea ipnotizzò prima Donadoni, poi Serena. Addio Mondiali, che si sarebbero chiusi fra rabbia, disperazione e rammarico, ma soprattutto con la consapevolezza di una superiorità inespressa.

Un’occasione unica. Quella delusione segnò Vicini e anche il suo futuro sulla panchina azzurra. Il suo merito principale fu quello di avere contribuito però a valorizzare una generazione di calciatori di altissimo livello e di essere riuscito a trasformare in squadra un’accozzaglia di campioni, come egli stesso andava ripetendo. Vialli (ma in azzurro esordì grazie a Bearzot), Mancini, Donadoni, Ancelotti, Baresi, Bergomi, Zenga, Maldini, Roberto Baggio, Schillaci, sono stati lanciati proprio dal mite Azeglio, che ricordava più Valcareggi che Bearzot, ma aveva imparato la gestione degli uomini prima che dei calciatori un po’ dall’uno e un po’ dall’altro. ‘Uccio’ e il ‘Vecio’ gli insegnarono che, prima della tattica e della tecnica, c’è l’uomo.

Lasciò la panchina azzurra a Sacchi, dopo avere fallito la qualificazione all’Europeo del 1992, vinto dalla Danimarca in Svezia, ma lasciò al successore un patrimonio di talenti e umanità di assoluto rilievo. Se n’è andato in silenzio, il mite Azeglio, era malato da tempo, e di lui rimarrà il ricordo delle tiepide notti romane, fra il ritiro azzurro di Marino e il chiasso assordante dell’Olimpico, con la voce di Pizzul in sottofondo e la ‘ola’ tanto di moda all’epoca. Un’epoca che non torna, come certi ct.

Con il titolo: Azeglio Vicini e il gruppo di giocatori azzurri di Italia ’90 (foto dal web)

Adolfo Fantaccini

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