di Antonella De Francesco
E’ sicuramente più riuscito, a mio parere, del film precedente Rosso Istanbul, il nuovo film di Ferzan Özpetek, dal titolo Napoli velata, nel quale viene restituita alla città dove si svolge la vicenda un ruolo importante attraverso immagini e personaggi caricaturali non troppo lontani dalla realtà partenopea. Perché a Napoli non sai mai cosa credere, non sai mai fino a che punto puoi restarne sorpreso e affascinato, per quel clima di superstizione, mistero, folklore e profonda cultura che vi si respirano.
Su questo sfondo complesso si intrecciano due vicende diverse: da un lato un thriller erotico e dall’altro una vicenda psicologica legata al trauma mai superato della protagonista, Adriana, ben interpretata da Giovanna Mezzogiorno, già nota al Regista. Özpetek sceglie un cast prepotentemente napoletano nel suo film (Lina Sastri, Anna Bonaiuto), perché napoletani come siciliani lo si nasce e non si può improvvisare. Le vicende si confondono in modo fumoso e nessuna delle due riesce veramente a compirsi cinematograficamente, forse perché da un po’ di tempo Özpetek ha abbandonato la ristretta cerchia familiare dove meglio gli riusciva di approfondire i drammi dei suoi personaggi e di ritrarli nelle loro complesse relazioni interpersonali.
Il film comincia con una scena forte di passione senza veli, da cui prende il via tutta la vicenda e qui Özpetek rende al meglio l’euforia che segue quando ciascuno di noi ritiene di avere incontrato l’anima gemella. Quel senso di appartenenza che proviamo fin da subito dopo essere stati tra le braccia giuste e quel sapore di smarrimento che segue anche al breve distacco. Le riprese tra le vie di Napoli in cui Adriana si reca al suo secondo appuntamento con Andrea (Alessandro Borghi) presagendo un dolce proseguimento, ha in se una tenerezza indimenticabile che ci induce, attraverso il suo sorriso, perfino a gioire per lei.
La telecamera indugia spesso sugli sguardi e lo sguardo in tutte le sue forme finisce col diventare il tema centrale del film. Occhi che vedono e non vedono perché mossi da ragioni che partono dal cuore o dalla mente. Occhi che lanciano e ricevono messaggi precisi e inequivocabili, ma a volte non riescono a decifrare la realtà. Occhi come amuleti senza i quali non sarebbe possibile percepire la magia e il dolore della vita. Occhi senza corpo nelle “maschere” di chi finge, occhi velati di chi non vuol vedere, occhi fissi su chi non riusciamo a dimenticare e che decidiamo di continuare a vedere accanto a noi. Occhi che si chiudono per sempre e occhi che si illuminano di nuova vita, incrociando quelli di qualcun altro.
Guardare e vedere, sono cose molto diverse, due gradi distinti di conoscenza e di giudizio, è forse questo l’intento del regista, quello di indurci a saper meglio “guardare” alle cose e alle persone che vediamo, superando le ragioni che ci tengono incastrati nella fissità di immagini dolorose che ci hanno segnato per sempre. Da vedere.
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