di Gaetano Perricone
“Bella giornata Gaetano, non ti conoscevo personalmente, ma con l’incontro di ieri ho ritrovato un amico a cui mi legano fatti, persone, valori”. E’ stata davvero una grande emozione leggere sul mio diario feisbuc questo commento a un mio post da parte del grande Giovanni Paparcuri, autista del giudice Rocco Chinnici sopravvissuto alla strage di via Pipitone Federico e oggi “custode” del Museo Falcone e Borsellino in quelle che erano una volta le stanze dell’ex Ufficio del pool antimafia a Palermo. Un personaggio davvero straordinario, che ho avuto la fortuna di incontrare all‘Istituto Comprensivo “Agatino Malerba” di Catania e di condividere con lui gli appassionanti momenti della “lezione di legalità” per i giovanissimi studenti delle medie.
Gli ho subito risposto che mi sento profondamente gratificato da queste sue parole. Sono anch’io onoratissimo di avere conosciuto un autentico servitore dello Stato, pieno di coraggio, di gioia di vivere, di voglia di sorridere nonostante il terribile dramma che ha vissuto, capace di trasmettere con la forza della semplicità messaggi straordinari ai ragazzi che lo ascoltano. Per un vecchio giornalista, ex de L’Ora come molto orgogliosamente mi piace sempre sottolineare, è stato un momento speciale di condivisione di valori, fatti, storie e persone con un uomo assolutamente speciale.
“Un’accecante luce chiara in fondo a un tunnel. Così ho visto la morte, per poi tornare alla vita. Avevo una grandissima difficoltà a riaprire gli occhi, poi quando ci sono riuscito ho visto tanto sangue, il mio sangue “. Così, con immagini chiare e spaventose, Giovanni Paparcuri ha ricostruito davanti agli attentissimi ragazzini del “Malerba”, che glielo hanno chiesto espressamente, quella terribile mattinata palermitana del 29 luglio 1983 in cui persero la vita il giudice istruttore Rocco Chinnici, i carabinieri della scorta maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi, massacrati dall’esplosione di un’autobomba con 75 chilogrammi di tritolo. Fu quella che sarà ricordata per sempre come la strage di via Pipitone Federico, così come sarà ricordato per sempre il fatto che l’unico sopravvissuto su proprio lui, Giovanni Paparcuri.
“E’ il destino che decide delle nostre vite. Sì, certo, mi sono perfettamente reso conto della fortuna di essere rimasto vivo. Ma ho anche pensato e penso ancora, quasi con un senso di colpa che non dovrei provare e che in questi anni è stato alimentato da qualcuno, ai tanti, troppi orfani di quella terribile strage”. Ha risposto così, Paparcuri, alla mia domanda sulle sue riflessioni dell’immediato dopo, delle sue sensazioni da sopravvissuto.
Mi ha entusiasmato e commosso, Giovanni Paparcuri, un grande testimone del nostro tempo. Lo ha fatto con i suoi orgogliosi, ma sobri racconti del lavoro a fianco di grandi uomini come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Della prontezza con cui lui e gli altri uomini della scorta di Chinnici non esitarono a rispondere al giudice, che li avvertiva dei pericoli per la sua vita, che sarebbero rimasti al suo fianco, “perché era giusto così“. Della gioia che provò al suo matrimonio per la presenza di Falcone e Borsellino, immortalati allegri e sorridenti nelle foto del “grande giorno” mostrate orgogliosamente agli studenti. Del suo umile e preziosissimo lavoro di digitalizzazione di 25 anni di documenti processuali sulla lotta alla mafia, che un mio caro amico magistrato di prima linea nella lotta a Cosa Nostra ha definito, in una recente nostra conversazione, fondamentale e indispensabile.
Tutte queste cose Giovanni Paparcuri, come un fiume in piena, le ha raccontate nell’aula magna stracolma di una scuola di un quartiere a rischio di Catania, incantando non solo i giovanissimi ascoltatori, ma anche un giornalista anzianotto come me, che ha rivisto passare davanti ai propri occhi, attraverso la sua struggente testimonianza, tante drammatiche immagini di una storia terribile come quella della lotta alla mafia e delle sue vittime. Ma lo ha fatto, il grande Giovanni, dispensando continuamente a noi ascoltatori la sua simpatia e il suo bellissimo sorriso, la più alta dimostrazione che anche da una storia terribile di sopravvissuto, da una esperienza incredibile di dolore e di coraggio come la sua, si può uscire con una grande voglia di vivere, di trasmettere messaggi positivi e di speranza.
Sono molto grato a Giovanni Paparcuri per quanto ha saputo regalarmi, sotto il profilo etico e umano, nel nostro incontro, che certamente mi ha arricchito moltissimo. E sono altrettanto grato all’amica Giovanna Micale, bravissima referente scolastica dell’iniziativa, che mi ha dato l’onore di coinvolgermi; all’eccellente Riccardo Trovato, uomo di poche parole e molti fatti, instancabile promotore di questo tour della legalità nelle scuole; alle coinvolgenti, appassionate testimonial del Centro Internazionale di documentazione sulla mafia (Cidma) di Corleone Nina Coscino e Chiara Sciortino, meravigliose esponenti della strapreponderante parte sana di un luogo divenuto famoso al mondo per avere dato i natali ai grandi capi di Cosa Nostra. E, dulcis in fundo, sono e resto molto grato all’Istituto Malerba, al suo dirigente scolastico Agata Pappalardo e al corpo insegnante per avermi reso partecipe di questo momento indimenticabile.
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