di Gaetano Perricone/Francesco Palazzo

Io e Francesco Palazzo sull'Etna, qualche anno fa
Io e Francesco Palazzo sull’Etna, qualche anno fa

(Gaetano Perricone). Al mio amico fraterno Francesco Palazzo ho chiesto qualche giorno fa, all’indomani del 47esimo anniversario della strage di Piazza Fontana, la “strage di Stato” – da lui già ricordata su questo blog con un articolo bello e prezioso – , di tornare sull’argomento con un altro pezzo di riflessione “dal profondo di noi” (ragazzi del 1956 e dunque pimpanti adolescenti “post sessantottini” in quel triste 12 dicembre 1969, il giorno della strage), per spiegare cosa significarono davvero quei terribili giorni e cosa lasciarono dentro la nostra anima e la nostra mente.

Poi ci ho pensato su e ho ritenuto che sarebbe stato bello e appassionante scrivere anch’io qualche considerazione su quel tremendo fine d’anno del ’69, intensamente vissuto insieme a Francesco e a tanti altri giovanissimi amici di allora in una Palermo, come tutta l’Italia,  ricca di fervori e fermenti giovanili politici e culturali.  E così, senza pensarci su troppo, scritto “a quattro mani” come si dice in gergo giornalistico da due amici veri da 50 anni che hanno vissuto con grande passione e con un costante scambio di idee e ideali un pezzo di storia fondamentale del nostro Paese, viene fuori alla fine di una settimana densa di questo pezzo che se da un lato è certamente un amarcord nostalgico e anche un po’ incazzato, dall’altro è una frizzante e significativa testimonianza di come quegli eventi colpirono profondamente la nostra generazione e incisero in modo determinante sul nostro pensiero, il nostro sentire, le nostre idee politiche.

Lascio a Francesco, nella parte che segue, l’intenso e puntuale resoconto di come vivemmo, tredicenni neoginnasiali pieni di passione, curiosità della vita e di voglia di “esserci” anche noi, quei frenetici giorni che vanno dal 12 al 15 dicembre del 1969, tra la strage di Piazza Fontana con l’arresto di Pietro Valpreda e il volo dalla finestra della questura di Milano del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, ai quali la storia, giudiziaria e non solo, restituì la dignità di vittime incolpevoli di un complotto allora molto facile ai loro danni. Furono “messi in mezzo” all’interno di un disegno (portato avanti in modi diversi ancora per molti anni e ciclicamente) , che coinvolse allora pezzi di istituzioni deviate del nostro Paese e probabilmente anche di altri Paesi da sempre molto vicini al nostro, che puntava all’obiettivo di creare in Italia la grande paura dell’ascesa al potere del partito comunista.

Fu chiamata e restò nella storia come “la strategia della tensione”, fu l’inizio della grande mistificazione del potere che inganna e che ha continuato a ingannare fino a oggi il popolo su tante questioni, che non sto qui a elencare perché, come sappiamo, si tratta di una lunga lista di fatti terribili, gran parte dei quali mai chiariti. Ecco perché, probabilmente anzi certamente segnati per sempre da quella drammatica esperienza storica vissuta da adolescenti testimoni del tempo, in tanti della nostra generazione continuammo e ancora adesso continuiamo a guardare con estrema diffidenza e scetticismo al potere che inganna e alle sue trame più o meno oscure, ai suoi misteriosi intrecci, di cui la storia d’Italia è stracolma.

Con la memoria di quei giorni voglio ricordare, ne ho ancora alcune scene davanti agli occhi, la prima, imponente e tesissima manifestazione a Palermo dopo Piazza Fontana. Io e Francesco, ragazzotti insieme ai nostri compagni di classe e a “quelli più grandi”, marciavamo urlanti dentro il lungo corteo, alle cui ali, sui marciapiedi di via Libertà e Via Ruggero Settimo, stavano immobili lunghe file di “celerini” (li chiamavamo così), pronti a intervenire con manganelli e lacrimogeni in caso di incidenti. C’erano anche molte facce ben note delle truppe di destra, che osservavano il corteo con espressioni bellicose …

E poi ricordo ancora le continue, entusiasmanti nostre visite alla famosa libreria “Nuova Presenza”, nel centro della città, alla frenetica ricerca di libri più o meno classici e noti della cultura di sinistra. Non tornavamo mai a mani vuote (anzi erano fin troppo piene …), la sete di sapere e di … mostrare di sapere era tantissima. E poi le assemblee e le occupazioni, tra enfasi di fresca passione politica e intensa voglia di abbordaggi di fanciulle …

Belle cose, eravamo giovani, pieni di voglia di partecipare e di fare, di credere nelle nostre idee. Di come ci siamo formati, in quale direzione ideologica siamo andati, di come allora e negli anni successivi, fino a oggi,  le mistificazioni, le trame, i complotti del potere che inganna ci hanno disgustato e tenuti molto lontani dalla politica attiva (dalla quale, personalmente, ho ricevuto negli anni varie lusinghe …) pur avendo la passione della politica, scrive bene e con molta chiarezza Francesco.

Concludo questa mia parte con una riflessione. Scrivendo il 22 novembre scorso sull’assassinio di John Kennedy a Dallas, Francesco Palazzo sottolineò con grande acutezza che quell’evento, allora avevamo appena 7 anni, ci fece “perdere l’innocenza” a confronto con l’orribile realtà della tragica scomparsa di una figura per noi allora mitica. A proposito degli eventi di quei giorni di dicembre del 1969, mi sento di dire – credo anche a nome del mio fraterno amico – che ci fecero bruscamente imparare, all’età di 13 anni e da giovanissimi “testimoni” di quanto accadeva, che l’esercizio del potere è un’attività molto poco trasparente, ambigua, piena di ombre e di lati oscuri e che è pressoché  impossibile capire davvero ciò che succede nelle sue stanze. E’ una lezione che non abbiamo mai dimenticato e che ancora oggi condiziona le nostre opinioni, idee, valutazioni su ciò che accade.

(Francesco Palazzo). Quando scoppiò la bomba non se ne sapeva nulla. Allora non c’era internet, non c’era Milano today. C’era il telegiornale. E appunto dal telegiornale della sera apprendemmo di quello che era successo a metà del pomeriggio. Allora frequentavamo la quarta ginnasiale. Subito io ed il Vulcanico ci sentimmo telefonicamente. Capimmo subito che era successo qualcosa di veramente grave. Infatti, guardando agli avvenimenti che si susseguirono negli anni, si può parlare di un prima di piazza Fontana e di un dopo di piazza Fontana.

Il giorno dopo, il 13 dicembre, rinunciando ai festeggiamenti tradizionalmente previsti per Santa Lucia, che in Sicilia, ed a Palermo in particolare, si esplicano in grandi scorpacciate di panelle, crocchè, arancine, cuccìa dolce e salata, ecc. ecc., partecipammo ad una sorta di “comitato di base” organizzato dagli studenti più grandi per meditare ed approfondire la tematica sollevata. Si diceva, infatti, che a commettere l’attentato fosse stato un anarchico, tale Pinelli che, con la complicità di un certo Valpreda, aveva messo la bomba. Per noi studenti, che già allora quasi naturalmente pendevamo a sinistra, era impossibile che un compagno, per quanto anarchico, avesse potuto volere la morte di un numero indistinto di lavoratori. Non ci era chiaro cosa fosse successo. E la strana morte dell’anarchico Pinelli, avvenuta qualche giorno dopo in circostanze misteriose, ci diede altri argomenti di preoccupazione.

PINELLI
La lapide in memoria di Giuseppe Pinelli a Milano

Si organizzarono scioperi e manifestazioni, cui partecipammo per chiedere giustizia e democrazia ma più che altro perché sentivamo che era giusto fare sentire la nostra voce, fare vedere che non eravamo acquiescenti a quello stato di cose. A ben vedere, col senno di poi, fu quella l’occasione che fece riflettere molti giovani su quello che stava accadendo in Italia e che spinse molti giovani ad informarsi su cosa fossero il marxismo e la lotta di classe, cosa differenziasse l’anarchismo; insomma, fu allora che capimmo che dovevamo studiare, studiare per comprendere.

Del resto grandi esempi avevamo davanti: Mario Capanna, che era il capo del Movimento Studentesco di Milano, era bravissimo a scuola ed anche i rappresentanti degli studenti del liceo che frequentavamo, il glorioso (sono tutti gloriosi i licei) liceo classico Umberto I°, erano tutti bravissimi. Quindi, accanto ai libri di latino e greco (di grammatica, eravamo al ginnasio) di storia e geografia, intraprendemmo pure lo studio di Marx, di Lenin, di Gramsci. Avevamo sete di conoscere “cosa” fossero questi grandi pensatori che ci sembravano rivolti alla difesa degli “ultimi”.

In poche parole, quella strage di stato che si prefiggeva di “normalizzare” la situazione italiana ottenne un altro risultato, portò la stragrande maggioranza degli studenti a simpatizzare con la “sinistra” e principalmente con la sinistra extraparlamentare. Cosa che poi sfociò nel terrorismo (e non si sa se quello delle Brigate Rosse non sia poi stato una parte del terrorismo di stato). Ma soprattutto ci fece capire che se volevamo cambiare le cose avremmo dovuto studiare, e studiare tanto.

Gaetano Perricone

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