di Sara La Rosa
Vilfredo Pareto, sociologo ed economista dei primi del ‘900, riteneva che gli essere umani avessero tendenze e comportamenti che si manifestavano con la c.d. “persistenza degli aggregati” ovvero l’attaccamento ai luoghi ed alle tradizioni.
In effetti, il legame al luogo (di nascita, in cui si sviluppano gli affetti, le relazioni, gli studi, il lavoro) si stabilisce grazie alle esperienze degli individui che collegano le emozioni ai territori.
Pareto insisteva sul fatto che gli uomini tendono ad ammantare di razionalità delle azioni che sono invece frutto di residui, ovvero di razionalizzazioni in senso psicologico: il che significa, detto in altri termini, che si tratta semplicemente di seguire l’istinto.
L’uomo manifesta per natura un attaccamento ai luoghi, grazie all’abbinamento con le esperienze significative dal punto di viste emozionale, che fanno parte del bagaglio personale di ciascuno. Il territorio in cui viviamo e dove si sviluppano gli affetti lascia in ognuno di noi una impronta, forte ed indelebile: desiderio di possesso? Emozioni? Oppure affetti?
Non esiste una chiave di lettura univoca, specialmente di questi tempi dove, il fondersi di tante discipline ci ha portato avanti dal punto di vista tecnologico ma lasciato anche tutti quanti un po’ più soli, sempre connessi, ma non sempre in relazione. Si rischia così di perdere di vista il valore del territorio che è il risultato di una sapiente azione di tessitura tra relazioni di entità viventi.
Mi piace ricordare, a questo proposito, una definizione di Alberto Magnaghi (professore emerito di Pianificazione territoriale) che, in uno dei suoi scritti definisce il territorio come risultato della “fecondazione della natura da parte della cultura”. Un atto di amore, un qualcosa di vivo.
Oggi il territorio rappresenta quel contesto in cui si muovono relazioni tangibili ed intangibili:da entità geografica, politico-amministrativa a luogo sociale e relazionale..ma non solo.
Rappresenta un patrimonio da valorizzare, grazie al contributo di ciascuno di noi. Quello che occorre, a differenti livelli, è (ri)appropriarsi di quello “spirito dei luoghi” (parafrasando un altro illustre studioso, Georg Simmel) che indica spiritualità ed intensità emotiva.
Già, perché l’Italia è ricca di siti di eccellenza e di eventi connessi che manifestano un solido attaccamento al territorio: le sagre (dal latino sacer dies, in omaggio alla sacralità del cibo che meritava di essere protetto e benedetto) ne rappresentano una delle tante sfaccettature.
Occorre recuperare quei valori, quella emozione che ci rende partecipi, così tanto da permettere che ognuno di noi sia testimonial dei propri luoghi: già, perché l’artigiano che continua a fare il proprio mestiere e tramanda il proprio sapere, contribuisce a dare un valore diverso e unico al proprio territorio.
Quanti mestieri sono andati persi? A chi giova questa standardizzazione di usi e costumi?
Purtroppo gli effetti non sono visibili nel breve periodo: abbiamo perso l’arte manuale di ricamatrici, pasticcieri, sarti, solo per citarne alcuni. Ci siamo vergognati di proporre le nostre ricette, salvo poi tornare frettolosamente a cucinare come ci avevano insegnato, quando si è capito che cucinare a “chilometro zero” rispetta la stagionalità ed aiuta il contadino.
E’ in tempo di crisi che si torna ai valori, quelli veri, come l’emozione di assistere ad un tramonto sul mare o al sorgere dell’alba in un sito naturalistico.
Per non parlare dell’esperienza di partecipare ad un corso di cucina che ci insegni a preparare piatti tipici: oggi si chiamano cooking class, in italiano (meglio) lezioni o corsi di cucina. Una volta, invece, si andava “ ‘a Maistra”, a scuola di vita e di mestieri, per dirla in siciliano.
E pensare che tutto questo ben di Dio è a portata di mano ed ognuno di noi contribuisce non solo a mantenerlo tale, ma addirittura a farlo conoscere. Come? Basta una foto condivisa su un social. Complici purtroppo anche gli attentati terroristici che ci hanno fatto scoprire le mete di casa nostra, ci siamo accorti che l’erba più verde non è quella del vicino. E’ la nostra.
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