di Marco Neri
“Se c’è una nuvola in Sicilia, questa nuvola si trova sull’Etna. E se c’è una nuvola sull’Etna, la nuvola si trova nella Valle del Bove”. Sono più o meno queste le parole che ho sentito raccontare sin dalle prime salite sul vulcano, quando esploravo le pareti della Valle del Bove, alla ricerca di strati geologici e dicchi, di faglie e neck. E come per ogni proverbio che si rispetti, anche questo ha una sua radice di verità. Il fianco orientale dell’Etna, infatti, è affacciato sul Mare Ionio e per questo è soggetto a riceverne il carico di umidità che, salendo di quota e raggiungendo aria più fredda, condensa e forma nuvole e pioggia a volte molto intensa.
Gli abitanti di questo settore orientale etneo lo sanno assai bene quanto può piovere dalle loro parti. Non è certo un caso se, tra Capo Mulini e Riposto, le incisioni vallive esistenti si trasformano occasionalmente in torrenti impetuosi. Quei torrenti sono quasi sempre asciutti, perché i terreni vulcanici permettono alla pioggia di infiltrarsi facilmente e rapidamente in profondità. Ma quando piove tanto in poco tempo, e se il letto dei torrenti è incassato in argini troppo angusti, o addirittura trasformato in strade, la natura si vendica e l’acqua si riappropria temporaneamente dei suoi antichi alvei, trascinando a valle tutto ciò che incontra, compresa la vita delle persone.
Ma non è solo l’acqua a modellare profondamente il territorio orientale etneo. Osservandolo da lontano, il panorama è come segmentato in giganteschi scalini. Sono le “Timpe”, ripidissime scarpate alte anche duecento metri dal cui ciglio si gode di orizzonti mozzafiato che spaziano dalla costa calabra, a Nord, ai litorali calcarei iblei, a Sud. Peccato che queste alte scarpate altro non sono che faglie, cioè fratture della crosta terrestre che sollevano il territorio ad ogni terremoto che le muove. Ed allora, le familiari Timpe assumono un significato tutt’altro che rassicurante, ad occhi consapevoli, e da temere.
Se le faglie tagliano e sollevano il territorio, se i torrenti creano le valli, ci pensa poi il vulcano a riempire i vuoti creati da erosioni e movimenti tettonici: con le colate laviche. La lava, quando è ancora fluida e calda, si comporta un pò come l’acqua e scorre nelle depressioni morfologiche, riempiendole. Le numerose colate di lava che dalle alte quote del vulcano scelgono di fluire verso Est, sono prima accolte dall’enorme anfiteatro della Valle del Bove, e poi, se le eruzioni durano abbastanza, proseguono verso il basso spingendosi fin quasi in riva al mare e, a volte, addentrandosi in esso per centinaia di metri, stravolgendo il panorama costiero.
Insomma, problemi non trascurabili per la fitta rete di infrastrutture ed i numerosi e densi nuclei urbani presenti nel medio-basso versante orientale etneo. Tra rischi idrogeologici, sismici e di invasione lavica, il contesto sembra affatto rassicurante. Eppure, conoscendo i problemi, ci si può difendere. Per esempio, rispettando il naturale reticolo idrografico senza ingabbiarlo artificialmente in opere idrauliche sottodimensionate. Evitando di costruire sopra faglie attive o in zone facilmente suscettibili all’invasione lavica. Dotando il territorio dei necessari presidi sanitari, di pronto intervento e di protezione civile utili a fa fronte alle probabili, future emergenze.
Di questi temi si parlerà sabato 26 Novembre alle ore 18.00, presso il Salone degli Specchi del Comune di Giarre, durante un convegno organizzato dal Rotary International Club di Giarre, intitolato: “Eruzioni, faglie attive e rischio idrogeologico nel versante orientale etneo: effetti e rischi nel territorio”. Alla mia voce, si aggiungeranno quelle del geologo Giuseppe Basile e dell’ingegnere Gaetano Bonaccorso. Nel corso del convegno, il Rotary Club di Giarre Riviera Ionico-Etnea donerà ai Comuni di Milo e Sant’Alfio una stazione meteorologica.
La splendida foto in copertina è stata scattata da Marco Neri il 29 Novembre 2013, nel corso di una delle numerose attività parossistiche del Nuovo Cratere di Sud-Est
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