di Francesco Palazzo Francesco-Palazzo

Sciascia, dalla copertina de "La Sicilia come metafora"
Leonardo Sciascia, dalla copertina de “La Sicilia come metafora”

Ventisette anni e un giorno fa, il 20 novembre 1989, moriva Leonardo Sciascia, il più grande scrittore illuminista contemporaneo. Perché illuminista? Perché dell’Illuminismo lui ha incarnato l’animo con il suo credo nell’uomo e nel diritto che l’uomo ha di essere uomo, di essere cioè soggetto del suo essere sé stesso, consentendogli di esprimersi e difendendolo perfino nel momento in cui possa trovarsi a manifestare opinioni diametralmente opposte a quelle dello stesso maestro di Regalpetra. Perché era animato dal dubbio, dal dubbio che l’altro potesse avere ragione e lui torto.

Questo suo modo assoluto di essere sé stesso lo aveva portato allo scontro sui c.d. “professionisti dell’antimafia” che tante critiche gli aveva procurato. Al punto che addirittura era stato tacciato di fare il gioco dei mafiosi. Questo perché quella parte della società che si autodefiniva civile ed antimafiosa riteneva che avesse il diritto di adoperare sistemi non democratici per combattere il fenomeno mafioso.

Diritto che in quegli anni cominciava a manifestarsi anche con i cosiddetti “processi in piazza”, processi che si celebravano in televisione mettendo alla berlina personaggi che forse potevano essere coinvolti in vicende poco chiare ma che certamente non spettava all’anchor man di turno fare apparire e fare considerare dall’opinione pubblica come colpevoli. Sciascia era fermamente contrario al fatto che qualcuno fosse “più uguale di altri” e pertanto rivendicava, in forza del principio di non colpevolezza, che per tutti i cittadini si adottassero le stesse leggi e che non fosse possibile lasciare a qualcuno la possibilità di ritenere che un cittadino non godesse di tutti gli stessi diritti che invece erano riconosciuti agli altri cittadini che erano accusati di reati non “mafiosi”.

Questo tipo di legislazione speciale prese però piede e tanti guasti ha procurato alla società italiana. Basta andarsi a ripassare le vicende dei processi Andreotti, Mannino, ecc. Ed in ultimo, riconsiderare cosa ha prodotto la legislazione sui beni sottoposti a sequestro perché ritenuti da un “magistrato speciale” di provenienza illecita e frutto di attività mafiosa, con inversione dell’onere della prova (non deve essere, cioè, il magistrato speciale a dimostrare la provenienza illecita ma l’accusato a dimostrare la provenienza lecita). Mi riferisco al recente caso Saguto, che è di pubblico dominio.

Perché ho voluto parlare prima del suo impegno civile? Perché tutta la sua vita e tutta la sua produzione letteraria non sono altro che espressione del suo impegno civile. Sciascia è vissuto in un periodo storico nel quale si cominciavano ad intravedere i prodromi del mondo che stiamo vivendo; Sciascia, insieme con un altro scrittore – non uso la parola “intellettuale” perché a lui non gradita – Pier Paolo Pasolini, aveva già visto cosa stava succedendo e cosa sarebbe successo di questa Italia. Sciascia, che aveva scritto quanto fosse importante la figura del maestro elementare (lui era un maestro di scuola) e quanto importanti fossero le “regole”, era poi passato a scrivere esplicitamente di “mafia”, con il bellissimo “Il giorno della civetta”; ma poi era passato a scrivere di mafia e politica, con “A ciascuno il suo”, con “Il contesto” e poi con l’enigmatico e profetico “Todo modo”. L’ “Affaire Moro” e “La scomparsa di Majorana” vengono considerati due pamphlet ma sono altrettanti atti d’accusa a questa società e alla ingiustificata (perché antidemocratica) ingerenza americana. Anche la antecedente (è del 1969 poi ripubblicata nel 1971) “Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.” ha una natura di politica internazionale: è una ferma condanna all’URSS in quanto, sotto le mentite spoglie di una controversia sorta all’inizio del ‘700 tra il vescovado di Lipari ed il re dell’epoca per non pagare la gabella sulla vendita di una partita di ceci, controversia che si era sviluppata in una scomunica dei gabellieri che si erano appellati per abuso al re che aveva loro annullato la scomunica, vengono denunciati i rapporti tra stato-guida e stati- satelliti e le iniziali A.D. sembra si riferissero ad Alexander Dubcek, che fu protagonista nel 1968 della primavera di Praga.

Il suo impegno civile si manifestò anche in politica, allorquando accettò di concorrere alle elezioni comunali di Palermo nelle file del PCI, abbandonando poi dopo poco tale partito per aderire nel 1979 al gruppo del Partito Radicale, una volta che si era reso conto che tra i banchi dei comunisti gli toccava “stare seduto” cioè non gli era consentito esprimere tutta la sua “intelligenza” per la risoluzione dei problemi dei cittadini ma solo votare ciò che il partito gli calava dall’alto. E poi, Sciascia era fortemente contrario al “compromesso storico”. Convinzione che era maturata facendo parte della commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani. Sciascia era convintamente per la trattativa, per salvare la vita a Moro. Al riguardo, si racconta che Sciascia e Guttuso assistettero ad una conversazione con cui a Berlinguer venne praticamente detto da parte di un diplomatico straniero che sarebbe stato impossibile salvare la vita a Moro perché non bisognava trattare, e quando Sciascia in commissione chiamò a testimone Guttuso della motivazione per cui il PCI aveva adottato la c.d. linea della fermezza, Guttuso negò la faccenda della conversazione. Sciascia, molto amareggiato, disse allora a Guttuso: Voi comunisti mettete prima il partito davanti alla lealtà verso gli amici.

Tanto altro meriterebbe che venisse detto e raccontato. Sulla sua sigaretta sempre accesa; sulla sua passione per la “Noce”, il buen retiro in Racalmuto; sui suoi continui collegamenti con la Francia; sui suoi viaggi nella Spagna franchista; sui suoi rapporti con i grandi fotografi siciliani (Scianna e Leone, su tutti) che tanto della loro affermazione devono al coraggio di questo piccolo grande uomo; sui suoi rapporti con la casa editrice Sellerio per la quale sceglieva autori ed opere e scriveva i risvolti di copertina…

Chissà cosa avrebbe detto con quella sua aria sorniona e cosa avrebbe scritto con quel suo periodare complesso, pieno di incidentali e di esplicative e di subordinate ecc. ecc., ma tanto chiaro e di immediata completa comprensione data la sua precisione di linguaggio e la sua logica stringente, del ventennio berlusconiano e del nuovo ventennio che da poco è cominciato. Per non parlare dell’avvento di Trump e di ciò che rappresenta….

A me piace ricordarlo nella sua lunga intervista rilasciata ad una giovanissima Maria Pia Farinella, che seppe cogliere e mettere in luce la sua intima essenza e la sua grandezza. Come si sente la sua mancanza!

Nella foto in homepage: Leonardo Sciascia ritratto dal grande pittore Bruno Caruso nella copertina dei “Quaderni” con la raccolta dei suoi articoli, pubblicati dal giornale L’Ora di Palermo nel maggio 1991

Francesco Palazzo

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