di Marco Gambino 

Era il tempo in cui prendevo aerei come se fossero autobus. Nell’arco di tre giorni facevo uno spettacolo a Milano, uno a Roma poi tornavo a Londra passando da Parigi. Sembra sia passato un secolo e invece sono solo trascorsi solo pochi anni. 

“Marco hai un appuntamento con Bellocchio al suo studio domani alle 16”. Quando il mio agente mi chiama per comunicarmi l’appuntamento con un regista è sempre una gioia. Vuol dire che c’è un interesse specifico. Forse ho qualche chance in più. Ma un appuntamento con Marco Bellocchio in persona è speciale a prescindere. Perché lui, Marco Bellocchio, è un mito.

Mentre sono su un treno da Milano a Roma provo a immaginarmi come sarà Bellocchio dal vivo. Penso a cosa raccontargli ma anche a cosa chiedergli sul suo lavoro, sui suoi films memorabili.  Arrivo alla Kavac Film con dieci minuti d’anticipo. Un triste palazzo romano anni cinquanta sulla Nomentana. Mi apre la porta un ragazzo svogliato che mi fa accomodare in un saletta buia mentre va ad avvertire il regista. Non si sente volare una mosca. Non c’è il solito andirivieni di segretarie, assistenti, casting.  Penso ci sia solo il Maestro.

Nel silenzio sento la voce del ragazzo che mi annuncia: “E’ arrivato Gambino“. Poi un lungo sbadiglio seguito da: “Chi? …ah fallo aspettare cinque minuti”. La mia mente partorisce i soliti mostri. Bellocchio é stanco, annoiato. Di me non gliene frega niente. Insomma un viaggio per nulla. Mentre il Maestro mi fa accomodare davanti la scrivania non riesco a non pensare a quello sbadiglio. In effetti ha l’aria di chi ha fatto la pennichella pomeridiana e volentieri  tornerebbe a casa. Non vedo l’ora di andarmene e togliergli l’incomodo.

Ma quando inizio a raccontare del mio lavoro in Teatro con Bolzoni i suoi occhi si animano. E quando il discorso si sposta sulla Sicilia e, come ogni tanto capita, scivola sulla storia della mia famiglia il maestro pende dalle mie labbra. La mia storia gl’interessa sul serio. Sento che con lui posso anche spingermi a raccontare di mio fratello e della sua vita interrotta. Vuole sapere come si chiama. Dove vive. Quanto sta male. Guardo l’orologio di nascosto. Sono passate quasi due ore. 

Mentre mi accompagna alla porta sento che vorrebbe abbracciarmi. Ma non lo fa. Dice solo: “tanti auguri a tuo fratello … e stagli vicino”.

Qualche giorno fa Cannes ha consegnato a Marco Bellocchio la Palme d’or alla carriera in contemporanea all’uscita del documentario “Marx può aspettare”. Un documentario sul suicidio del suo fratello gemello. E me lo sono rivisto davanti mentre mi dava la mano sulla porta del suo ufficio. In quel pomeriggio di un’era in cui prendevo gli aerei come fossero autobus e Bellocchio era davanti a me con gli occhi lucidi. Oggi ho capito perché. 

Le bellissime foto dal set de “Il traditore”, con il titolo e dentro l’articolo, sono di Lia Pasqualino Andò 

 

 

 

Gaetano Perricone

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