di Santo Scalia

Sono tanti i pittori che, nel corso dei secoli, hanno immortalato l’Etna nelle loro tele.

Di alcune opere abbiamo già trattato, come nel caso di Giacinto Platania, che ci ha lasciato una tela con la raffigurazione dell’eruzione etnea del 1669; o di Giuseppe Politi, che ha riprodotto, vista da Bronte, l’eruzione del 1832; o ancora di Giuseppe Sciuti, autore di una famosa tela sull’eruzione dei Monti Centenari, nel 1852.

E limitandoci ad alcune delle opere realizzate nel corso degli ultimi tre secoli, oltre a quelle degli artisti già citati, ricordiamo le opere di Coplestone Warre Bampfylde (1766); Jacob Philipp Hackert (1778); Carl Rottmann (1830); Thomas Cole (1842 e 1843); Ferdinand Georg Waldmüller (1844); Hubert Sattler (1846); Ivan Aivazovsky (1847); Alessandro La Volpe (1862); Peder Mark Mønsted (1885); William Stanley Haseltine (1889); John Macwhirter (1890); Hermann Effenberger (1896); William Logsdail (1900).

Tralasciando volutamente gli incisori, nel corso del Novecento ricordiamo Ettore De Maria Bergler (1907), la cui opera è esposta presso la G/M (Galleria d’Arte Moderna “Empedocle Restivo” di Palermo);  Pippo Rizzo (1934) che dipinse Il risveglio dell’Etna (olio su tela, cm 218 x 220, oggi presso Villa Zito, della Fondazione Banco di Sicilia di Palermo); e soprattutto uno dei maggiori esponenti dell’arte del secolo scorso, Renato Guttuso, anch’egli non immune al fascino del nostro vulcano.

Fuga dall’Etna – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma

Contrariamente alla maggior parte dei suoi predecessori, Guttuso non si limitò a raffigurare il vulcano come splendido fondale di un paesaggio quasi bucolico, ma rimase profondamente colpito dagli episodi che probabilmente vide con i suoi occhi, e portò sulla tela l’ansia, il disagio e la paura delle popolazioni minacciate (in Fuga dall’Etna del 1940) ed il sublime spettacolo delle colate laviche dell’eruzione del 1983 (proprio in Eruzione dell’Etna, 1983).

Del pittore siciliano, nato a Bagheria, grosso centro del Palermitano, ha già trattato questo blog: in occasione del trentesimo anniversario della sua scomparsa (18 gennaio 2017) è stato infatti riproposto il delicato ricordo del Maestro, scritto da Mario Farinella e pubblicato sul quotidiano palermitano L’Ora, lunedì 19 gennaio 1987; il blog ilVulcanico.it in quell’occasione propose, come immagine d’apertura, proprio l’opera del 1940, la già citata Fuga dall’Etna.

Nonostante il titolo, nel grande quadro (cm 144 x 254) l’Etna non c’è, o quasi, anche  perché il soggetto non è l’eruzione. L’Etna è accennata, con la sua lava, solo nello sfondo. Infatti, e qui cedo la parola a chi di arte ne sa più di me: «[…] una folla disordinata, tra cui irrompono tori infuriati e cavalli spaventati. Il titolo, e la lava lungo i pendii dell’Etna, fanno pensare alla fuga da un’eruzione vulcanica. In realtà, Guttuso rappresenta una folla in rivolta che sta per essere repressa. Attraverso i gesti, i volti, i patimenti e le sofferenze di queste persone, l’artista racconta realisticamente il destino dei contadini siciliani. L’episodio è un preciso ricordo dell’infanzia, infatti Guttuso fa riferimento ad una rivolta del 1919 a cui aveva assistito in prima persona […]» (dal blog Conversazioni artistiche del 27 gennaio 2017, Marianna Sottile).

L’opera è oggi esposta presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

Giornale di Sicilia (28 ottobre 1983 – collezione personale)

Ma è dell’altra opera, Eruzione dell’Etna, del 1983 che voglio parlare. La prima volta che ho saputo di quest’opera è stato tramite una pagina del quotidiano palermitano Giornale di Sicilia: nell’edizione del 28 ottobre del 1983 il giornale – uno dei primi quotidiani siciliani ad offrire pagine a colori e nel formato tabloid – presentò un’immagine del quadro: «L’ultima opera del maestro siciliano», «L’eruzione dell’Etna – Guttuso riscopre il colore della paura».

Eruzione dell’Etna di Renato Guttuso (foto S. Scalia)

La didascalia a corredo dell’immagine del quadro continuava così: «Presentata a Milano l’ultima opera di Renato Guttuso. È “l’eruzione dell’Etna”, che l’artista di Bagheria ha definito una metafora delle passioni umane. Il rosso acceso della lava si accompagna al sentimento umano di angoscia e paura».

In seguito ho avuto il privilegio, nel periodo in cui il grande quadro (2 metri per 2,30) faceva bella mostra di sé in un’intera parete degli uffici direttivi di un’agenzia dell’allora Banco di Sicilia, in Viale della Libertà a Palermo, di avere un “incontro privato e ravvicinato” con la tela; per questo sono ancora grato alla cortesia del direttore di quell’agenzia.

Un’opera in cui «il paesaggio appare come trasfigurato in una sorta di visione infernale» (dal sito della Fondazione), davanti al quale si ha la sensazione di percepire il calore sprigionato dalle colata di lava incandescente.

Protagonisti del quadro, oltre ai numerosi bracci lavici, sono le silhouettes di quattro persone che contemplano la visione che si presenta davanti ai loro occhi. Nel greco antico c’è un verbo, θαυμάζω, che ha il significato di meravigliarsi, stupirsi, essere colto da meraviglia, da stupore. E il dialetto siciliano ha tenuto memoria di questo termine, nell’aggettivo ‘ntamàto: tale è infatti chi, davanti ad una visione particolarmente bella – o particolarmente terrificante – rimane quasi pietrificato, rapito nella contemplazione di quanto visto, perdendo la cognizione di ciò che lo circonda, anche se questo fosse estremamente pericoloso. Spesso, nel linguaggio comune, ‘ntamàto assume tuttavia la connotazione negativa di “inetto”, “rimbambito”.

Così le figure poste in primo piano, arroccate su uno scoglio di roccia, davanti ad un immenso mare di lava, sembrano proprio ‘ntamàte dalla visione di tanta bellezza e potenza del fenomeno eruttivo.

L’opera oggi si trova esposta nelle sale della pinacoteca di Villa Zito, in Via della Libertà 52, a  Palermo.

La firma del Maestro, in basso a destra nel dipinto Eruzione dell’Etna (foto S. Scalia)

Sorvolando sulla – per altro evidente – assonanza con la notissima figura del Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, concludo con le parole del Maestro Guttuso, che illustrano il suo concetto del dipingere: «Dipingere è essere ispirati da ciò che si vede, e si pensa, da ciò che si scopre, può essere un tramonto, un albero, un paio di scarpe vecchie o un quadro…» (Renato Guttuso, 1966). E aggiungerei… o da una visione, orrida e sublime allo stesso tempo, di una eruzione vulcanica.

 

Con il titolo: particolare del dipinto “Eruzione dell’Etna” (foto S. Scalia)

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