di Antonella De Francesco
In modo inedito, intelligente e originale, Bong Joon–Ho porta sullo schermo una storia di forte denunzia sociale, senza slogan, né bandiere, né cortei, ironizzando su una situazione a tratti surreale.
Parasite è un film apparentemente semplice, ma nella sostanza molto complicato, non fosse altro che per i generi filmici che racchiude in sé e tra i quali il regista dimostra di sapersi muovere con elegante disinvoltura. Dalla commedia, al thriller, passando dall’horror con evidenti riferimenti a Quentin Tarantino, ma in contesto prettamente coreano ( tecnologia, tradizioni, architettura, cibo) per quel che concerne le scene finali del film.
La storia si evolve per inquadrature ravvicinate dei personaggi alle prese con il loro “piano” che tiene gli spettatori incollati allo schermo e li pone in una condizione di visione attiva, nella misura in cui elaborano autonomamente una previsione su quello che accadrà di lì a poco, in un gioco virtuale di decodifica delle immagini. Poi all’improvviso il regime filmico cambia, vira rapidamente, il “piano” salta e spiazza gli spettatori azzerando la loro capacità di previsione, travolgendoli con gli eventi e trascinandoli come la corrente della pioggia torrenziale sui gradini di una città coreana senza nome, dove ai poveri tocca sopravvivere.
La stridente diversità tra loro e i ricchi, tra le loro tane sottoscala e le magnifiche residenze dei potenti, solo con le immagini fa molto più delle parole che i poveri del film non diranno mai. Il Ken Loach coreano ci mostra poveri ai margini della società capaci di contenere il loro risentimento negli sguardi, sino a che riceveranno “ rispetto” e non percepiranno il pregiudizio dei padroni ricchi verso di loro. Più avanti sottolineerà come il rispetto della dignità di uomini vale più di un buon salario. Ma nel film i poveri non sono totalmente innocenti, così come i ricchi non sono del tutto ignobili. E in questo gioco delle parti si ride, si trema e alla fine si riflette.
Parasite è quindi stato, a mio parere giustamente insignito, dopo la Palma d’oro al festival di Venezia, di ben 4 premi Oscar come miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura originale, miglior film straniero, con il disappunto di Donald Trump che sottolinea, anche in questa occasione, tutta la sua rozzezza e incultura.Che ci piaccia o no, ancora adesso i poveri stanno sotto i ricchi, più vicini di quanto non si possa pensare, tappati negli scantinati dei quali i possidenti sconoscono perfino l’esistenza, impegnati come sono a gestire lusso e dinamiche familiari. Ma il rischio che il loro “puzzo” venga fuori come una fogna in pressione in una giornata di forte pioggia esiste e non può essere ignorato con innocente superficialità . È solo una questione di “scale“ che se i ricchi non scenderanno mai, prima o poi saranno i poveri a risalire ! La rivolta sociale può scoppiare da un momento all’altro, con violenza e senza esclusione di colpi e non soltanto in Corea.
Da vedere.
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