FONTE: INGVVulcani
di Gianfilippo De Astis
Per molti versi, Venere è un pianeta simile alla Terra. Ha quasi le sue stesse dimensioni e una composizione complessivamente simile. Ne differisce moltissimo per altre caratteristiche come per esempio: il tipo di atmosfera, la sua pressione, la temperatura, l’assenza di acqua sulla superficie. Pertanto, né il vento né la pioggia possono davvero modificare la sua morfologia.
Probabilmente, una caratteristica poco nota di questo pianeta è che Venere ha più vulcani di qualsiasi altro pianeta del sistema solare, con un’attività eruttiva che sembra aver prodotto colate di lava fluida, mentre ha poche evidenze di lave viscose o flussi piroclastici. Nonostante gli scienziati sappiano da tempo che Venere è punteggiato di vulcani, formatisi per l’eruzione di magma proveniente dal mantello di un pianeta così simile al nostro (probabilmente degli “hot mantle plumes”), l’ipotesi che qualcuno di essi sia ancora attivo è stata a lungo dibattuta e lo è tuttora.
Tuttavia, pochi giorni fa è apparso un sorprendente articolo su Science, ripreso poi a ruota da un altro di carattere informativo su Nature, in cui nuovi studi sostengono di aver trovato prove evidenti che ci sia ancora attività vulcanica su Venere.
Gli autori dello studio hanno esaminato le immagini radar della superficie del pianeta che furono raccolte dalla navicella spaziale “Magellan” della NASA tra il 1990 e il 1992 e che hanno una risoluzione tra i 100 e i 300 m. Osservando l’apparato vulcanico situato nell’area dell’Atla Regio, che ospita due dei più grandi vulcani del pianeta, i ricercatori hanno constatato che uno dei due – il Maat Mons (figura 1) – ha cambiato forma nel periodo intercorso tra due immagini scattate a otto mesi di distanza, mostrando un allargamento del cratere. Inoltre hanno osservato la presenza di corpi (rocciosi) vulcanici a valle della bocca eruttiva nelle immagini del secondo passaggio della navicella sull’area.
La loro interpretazione è stata, quindi, che si sia verificata un’eruzione di questo vulcano che potrebbe avere generato un flusso di lava (figura 2). Viene tuttavia ammessa la possibilità che questi corpi fossero presenti ma invisibili nel corso del primo passaggio, a causa delle differenze nella geometria delle immagini. Questa interpretazione è stata anche vagliata con dei modelli alternativi per la loro formazione (per esempio, dei crolli detritici) ma la spiegazione più convincente è rimasta sempre quella proposta.
Un altro dato di rilievo che l’articolo riporta è che la ricerca condotta sui dati di “Magellan” ha esaminato solo l’1,5% circa della superficie di Venere, e questo implica che è ancora enorme il numero di dati da esaminare e da testare.
Nel 2021 la NASA ha annunciato che, nel corso di questo decennio, invierà due veicoli spaziali su Venere: VERITAS, un orbiter che mapperà la superficie del pianeta, e DAVINCI+, che include una sonda che si immergerà nell’atmosfera di Venere. Queste imminenti esplorazioni potrebbero finalmente dare una risposta alle principali domande irrisolte su questo pianeta: da quella che si interroga sulla possibilità che un tempo esso avesse oceani e fosse quindi abitabile, a quella che il pianeta sia ancora sede di vulcanismo attivo, con conseguenze sulla nostra comprensione delle dinamiche interne del pianeta e della sua evoluzione climatica.
Con il titolo: foto scattata dalla sonda Magellano in orbita attorno a Venere. Credit: NASA
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