di Gaetano Perricone
Ero certo che La montagna di fuoco. Etna: la Madre, (Ponte alle grazie editrice, 128 pagine, 15 euro), da oggi in libreria, fosse un libro assolutamente speciale. Almeno per due ragioni fondamentali. Perché l’autore, il professore Leonardo Caffo, “filosofo, scrittore, curatore editoriale e opinionista italiano” scrive di lui Wikipedia – ma io aggiungerei anche divulgatore, poeta e molto altro, tutto ad altissimo livello – a neanche 34 anni è un pozzo di scienza e conoscenza famoso in Italia e non solo, lo dico con profonda convinzione e con grande gioia dato che lo conosco da bambino, uno che quando lo leggi ti fa pensare le cose più profonde e importanti del mondo, ma riesce spesso anche ad accarezzarti l’anima, come accade in molti passaggi di questo volume. Ma Leo, mi permetto di chiamarlo così, confidenzialmente, è anche un figlio dell’Etna ed è figlio – qui sta la seconda ragione che rende speciale il libro – di un padre che si chiama Salvatore, per noi amici Salvo, che è un super vulcanologo, uno dei più bravi e sapienti al mondo per la conoscenza e divulgazione del vulcano siciliano Patrimonio dell’Umanità. E’ anche l’uomo che mi ha più aiutato e ancora mi aiuta nel mio appassionante, affascinante, sempre in progress percorso di conoscenza dell’Etna, mai finito e che mai finirà.
Salvo Caffo, insieme a quella guida straordinaria del vulcano che si chiama Franco Emmi, accompagna Leonardo in un viaggio pieno di suggestioni dentro la natura e l’anima dell’Etna, che è un ritrovare La montagna di fuoco da sempre amatissima e molto frequentata da ragazzo, ma è anche un modo di ritrovarsi attraverso una serie di riflessioni e di pensieri permeati dell’enorme bagaglio di conoscenze del filosofo della scienza catanese. Nel libro, dedicato allo scomparso Franco Battiato incontrato poco tempo prima che morisse, come spiega la scheda di presentazione della casa editrice molto meglio di quanto sappia fare io il giovane Caffo racconta i contenuti del viaggio e i suoi pensieri “attraverso uno scambio epistolare tra l’Uomo-filosofo e la Montagna di fuoco, che è un primo passo nella costruzione di quella ‘psicofisiologia degli ecosistemi’ ipotizzata da Sylvain Tesson. ‘Cara Etna’ è l’incipit di ogni lettera-capitolo, ma anche il saluto al padre vulcanologo, alla famiglia, agli amici d’infanzia, agli incontri, alle passeggiate, alle escursioni. Le storie, di oggi e di ieri, scritte sul paesaggio, sulla lava e sulle case. Ma, soprattutto, ‘Cara Etna’ è un’idea di montagna che comprende tutto: c’è «la trasformazione della vita specializzata in nuda vita, quella da persone a forme di vita semplici. C’è la vita come gioco che abbiamo lasciato indietro, la vita come sentiero di montagna dove l’obiettivo e il percorso sono solo due modi di dire la stessa cosa». Nella Montagna di fuoco si intreccia una passione per il vulcano che unisce un padre e un figlio. E se il padre, il vulcanologo Salvatore Caffo, ne racconta con chiarezza la storia e l’essenza, il figlio, filosofo, ne tratteggia lo spirito, che informa di sé il paesaggio tutto e gli uomini etnei”.
Scrive dunque a Lei e parla con Lei Leonardo Caffo, con la grande Madre, come un figlio orgoglioso. Una scelta suggestiva e coinvolgente, la feci anch’io in un mio libro con appendice nel 2004 e poi nel 2021, ma ovviamente senza lo straordinario bagaglio di sapere di Leo e senza le sue capacità divulgative; tra l’altro sono profondamente onorato di avere trovato La mia Etna in bibliografia. Ho già letto il libro che oggi arriva in libreria, ho avuto questo privilegio, l’ho anche riletto in molti passaggi complessi: emozione pura e intensa, arricchimento prezioso. Il grande filosofo della scienza si mette a confronto con la sua anima, le sue origini, la sua Montagna, che diventa il suo specchio, che riscopre da figlio, che con amore sente rinascere dentro se stesso. Un milione di spunti per chi sa coglierli, per chi sa leggere questo libro affascinante ma complesso. E poi, soprattutto per noi etnei nativi o acquisiti che conosciamo bene e apprezziamo molto il cognome Caffo, c’è la parte che ci incuriosisce e cattura di più: c’è il figlio che il padre accompagna a ritrovare la Grande Madre.
Sul suo profilo Facebook Leonardo Caffo ha scritto poco tempo fa: “Tra pochi giorni (il 20) esce un mio nuovo e strano libro. Un dialogo con l’Etna, commissionatomi da @ponteallegrazie_editore e @i_libri_del_cai con l’aiuto di mio papà @caffo.salvatore che dell’Etna è il più grande esperto. C’è tutto, poesie e foto. Ma anche lettere e filosofia, ambientalismo e musica. A chiunque volesse come sempre rimproverarmi che questa non è filosofia, questa volta ha ragione. È solo un libro. Spero vi piaccia”.
A me è piaciuto tanto. E’ stato già classificato come saggio, ma come dice l’autore è anche tanto altro. E’ una lettura che offre uno strumento di comprensione dell’Etna, della sua natura, della sua anima, della sua essenza, nuovo e diverso, profondo e pieni di stimoli culturali, scientifici, umani. Da leggere, se avete voglia di andare oltre la contemplazione della bellezza e potenza unica della montagna di fuoco, ponendovi insieme con Leo Caffo tanti interrogativi importanti.
Per gentile concessione dell’autore, ho scelto per proporveli alcuni passaggi del libro. E’ stata una scelta non semplice, ma assai stimolante.
Cara Etna, talvolta si fanno giri lunghissimi solo per tornare a casa. Ho fatto quasi tutto ciò che era in mio potere per evitarti, per non affrontarti, per non accompagnare papà quando di corsa scappava da te durante una eruzione notturna. Ogni figlio, in quanto figlio, non dovrebbe seguire le orme del padre. Eppure, oggi, sono qui a scriverti: ma lo faccio da figlio, non da padre. O almeno è ciò che mi è dato sperare all’inizio di questo viaggio
In qualche modo questa è una lettera d’amore, un inno alla gioia della Natura. Non una banale filosofia contemporanea che scopre l’importanza delle cose del mondo naturale stupendosi della loro essenza, ma una vita che ringrazia e prega. Io ti ringrazio, al di là di ogni possibile stereotipo falsamente non antropocentrico.
Penso a voce alta, nella Land Rover bianca di mio padre, che l’apocalisse deve essere più o meno qualcosa di simile – gli umani, e tutte le loro speranze e follie, svaniti nel nulla, mentre la natura si riprende i suoi spazi. In fondo non è questa la resurrezione? Dopo di noi, il tutto inclassificato e dunque davvero finalmente libero e leggero. Rinascere è far nascere gli altri… quanto egoismo ingenuo nelle religioni positive.
Dove sono tutti quegli scrittori borghesi che parlano di natura? Cosa ne è dei loro ‘bla bla’ nel momento in cui non riescono neanche a fare una passeggiata in un bosco? Alcune cose della filosofia che ho fatto in questi anni, me ne accorgo solo ora, mentre ti mando queste lettere, le ho capite soltanto osservandoti. Ho capito cosa significa che un ecosistema è molto più ampio della somma delle sue parti, e che forse è esso stesso un soggetto vivente come sostiene l’ecologia profonda. Ho compreso, anche se con tutte le difficoltà del caso, perché siamo irrilevanti nell’economia generale della natura e del pianeta.
Come puoi capire qualcosa di un vulcano senza sapere di filosofia? E che filosofia puoi fare quando un vulcano ti sembra solo una montagna in grado di emettere del fuoco o del fumo in modo del tutto casuale e imprevedibile? Con te, ancora una volta attraverso di te, ho imparato come si tengono insieme le cose del mondo: lo sguardo, ineducato, rischia di non comprendere che calpestandoti umilia innanzitutto se stesso.
Camminiamo sopra i luoghi dove un tempo si viveva, soffriva, gioiva. In fondo, comprendere le teorie più avanzate dell’ecologia speculativa, non è così difficile – la natura è un cimitero fiorito dove ogni morte genera la vita. La vita che verrà, poi in fondo preziosa quanto quella che è già qui intorno a noi, come quella che mi permette di scriverti queste lettere con la speranza non metaforica che tu le riceva davvero.
Nascere in mare, cara Etna, rende la commistione tra gli elementi apparentemente contraddittori con cui i presocratici provavano a descrivere l’origine del mondo, confusamente felice. L’acqua ospita la terra che genera il fuoco, proprio come capita oggi a un tuo fratello minore – lo Stromboli nelle isole Eolie.
Dove il mare diventa neve? E dove la neve si fonde col mare? Carola, nata e cresciuta dall’altro lato della Sicilia, non ha parole per descrivere il passaggio che nell’arco di meno di un’ora ci porta da una cima innevata a una spiaggia immensa. Ed è a questo rapporto con la totalità, cara Etna, che credo tu mi abbia silenziosamente educato per tutta la vita – anche nel più piccolo dei lembi di terra, forse, è racchiuso l’universo in tutta la sua interezza.
Come ti ho scritto più volte, molto spesso si sottovaluta il privilegio di un’esistenza che scorre vicino a un vulcano: lì dove la natura è selvaggia, dove ogni eruzione è un fenomeno estetico, e dove albergano le più grandi possibilità di riscatto, perché ogni distruzione è preliminare a una ricostruzione.
L’energia, cara Etna, cambia forma e vive nel transito muovendosi senza mai esaurirsi. Dell’anima, credente o meno, mi piace pensare questo suo ruolo di passaggio da un corpo all’altro della natura; non una reincarnazione, che sembra tradire il mito del prima e di un dopo, ma proprio semplicemente un cambio di vestito. Un simpatico eternismo.
Perdonali, Cara Etna, perché loro non lo sanno quello che fanno. E il paesaggio di mia figlia, nata tra le plastiche del mondo, spero sia bello come quello di quando ero bambino io. Io, ora che sono adulto, non riesco a vedere che il fallimento misero di una specie incapace di usare un cestino invece che una foresta un tempo incontaminata.
Vorrei provare a raccontarti ancora una volta quanto sia bello che sia tu, ovvero la natura, a dettare i tempi dei nostri incontri; eppure oggi, cara Etna, sono profondamente arrabbiato. Risentito dal non poterti essere vicino, deluso dall’assenza di calore della lava mentre so che qualcuno è lì al mio posto, irritato dall’impossibilità di questo pezzo di cammino e storia geologica non fatto insieme.
In molti faticano a comprendere il piacere che si possa avere percorrendoti a piedi, tra fatica e difficoltà; tutto ciò dipende, credo, dal non concepire la bellezza del processo come parte integrante della bellezza degli obiettivi. Questa ennesima vetta simbolica tra i tuoi solchi e alture, ovviamente, ha senso solo se considerata dalla base. Come la croce e il sacrificio trovano senso nella via, così
conoscere davvero una montagna o un vulcano significa aver desiderato giungere con la propria forza dove altri potrebbero arrivare con una buona jeep
Stamattina, nella cosiddetta ‘Piana dei Grilli’ non lontano da Bronte, ho avuto l’impressione che la vegetazione, scatenata da ciò che resta dalla colata ottocentesca, fosse stata organizzata da un qualche curatore di professione. Non credo esista una zona al mondo che, al pari di questo luogo, mi dia l’impressione di una struttura estetica che mi faccia ripensare a quanto fosse ingiusta la tesi di Hegel nella sua Filosofia della Natura. Tutto il senso delle cose del mondo, sosteneva il filosofo, sta nelle faccende dell’umano e nel lavoro dello spirito, mentre la natura, e le sue molteplici entità, non sono altro che fuori senso. Non è che voglia tornare a una immagine
kantiana, cara Etna, del sublime naturale tanto amata poi dal trascendalismo americano alla Thoreau. È che piuttosto bene io noto, osservando certi tuoi luoghi, che il lavoro dello spirito è più diffuso di quanto non potremmo pensare normalmente nella stessa natura. Uno spirito assoluto.
C’è una leggenda, cara Etna, che in fondo racchiude il senso generale del mio scriverti; pare sia stata Venere ad aver posto i cuscini di saponaria sul tuo dorso, per ricordarci che anche tra le insidie più grandi del fuoco e del tremore possono nascere amore e bellezza. È banale, ma bellissimo.
Mi viene in mente, qui su in cima, quel famoso detto zen che però vorrei dedicarti cambiandolo, giocando con le parole, ora che sono tornato su di te con gli stessi amici con cui giocavo a pallone da ragazzino:
prima della filosofia l’Etna era soltanto l’Etna,
e i vulcani soltanto vulcani,
durante la filosofia l’Etna non era più soltanto l’Etna,
e il vulcani non erano solo vulcani,
dopo la filosofia l’Etna era di nuovo L’Etna,
i vulcani nuovamente vulcani.
Dallo straordinario dialogo finale tra Leo e Salvo Caffo ho scelto questa parte:
Cara Papà
Com’è che sei diventato così appassionato dell’Etna, tanto da dedicargli una vita intera?
Da bambino ho avuto il privilegio di poter ascoltare il professor Alfred Rittmann, scienziato di levatura internazionale, che raccontava storie fantastiche sull’Etna, mentre provava le scarpe che mio padre gli realizzava, su misura, nella bottega da calzolaio in cui ho trascorso la mia infanzia. Aspettavo con ansia che quel signore elegantissimo e la sua splendida moglie venissero a trovarci per poter assistere al rito delle storie che lui non disdegnava di spiegare a mio padre e al suo giovanissimo figlio. Con parole dosate e misurate, ma dense di conoscenza, spiegava a noi, entrambi con cultura elementare, concetti veramente fuori dalla portata delle nostre conoscenze, riuscendo ad alimentare in noi la passione per l’Etna e per la Vulcanologia. Non c’era domenica che, con la mitica 600, non si partisse da Catania, insieme a mia sorella, ai miei genitori e alla nonna materna, per andare alla Pineta di Linguaglossa. Un vero e proprio viaggio che, per evitare di sentirmi male, trascorrevo con la testa fuori dal finestrino, avendo modo così di memorizzare il percorso e il paesaggio. Nel 1971, durante l’eruzione laterale che colpì l’abitato di Fornazzo ho seguito di nascosto il professor Rittmann, senza che i miei genitori lo sapessero! Ho trascorso gli anni della formazione scolastica e universitaria andandomene in giro con i miei amici in escursione sull’Etna e imparando a conoscere questo straordinario territorio e soprattutto a vincere la paura di essere solo e lontano da casa. Sin da studente universitario, ho sentito l’esigenza di trasmettere le emozioni che si provavano nel conoscere il mondo dei cristalli, delle rocce, dei fossili degli invertebrati, insomma, di quanto apprendevo circa i temi relativi al Pianeta su cui viviamo. Il mio pensiero è stato sempre rivolto al professor Rittmann di cui ho cercato di seguire le orme. È stato quasi naturale studiare Scienze Geologiche, conseguire il Dottorato di Ricerca universitario in Petrologia magmatica, diventare professore di Scienze Naturali e infine Vulcanologo del Parco dell’Etna: quasi una nemesi. Raccontare tutto questo durante incontri, convegni, conferenze rappresentava certamente un momento importante nel misurare la mia preparazione accademica, ma non mentirei se dicessi che ho sempre privilegiato il coinvolgimento emotivo per spiegare concetti e teorie del tutto avulse dalla nostra quotidianità.
La montagna di fuoco. Etna: la Madre, (Ponte alle grazie editore, 128 pagine, 15 euro)
Con il titolo: Leonardo e Salvo Caffo sulla “Schiena dell’Asino”
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