(Gaetano Perricone). Dal magazine di Unict, Università di Catania, condividiamo e pubblichiamo integralmente questo ampio e impeccabile articolo di presentazione dell’eccellente collega Mariano Campo sulla neonata, importante monografia, di grande valore storico e culturale oltre che scientifico, curata dai docenti Rosalda Punturo, Rosolino Cirrincione e Rosanna Maniscalco del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania. Una preziosa guida tra le miniere di zolfo siciliane, luoghi oggi dismessi ma una volta pieni di lavoratori e triste teatro di bieco e drammatico sfruttamento dei minori. A loro, ai tanti “carusi” vittime di una pagina vergognosa della nostra storia, gli autori hanno voluto dedicare questa pubblicazione davvero significativa
Fonte: https://www.unictmagazine.unict.it/
di Mariano Campo
Matri chi mannati li figghi / a la surfara iu vi dumannu / pirchì a li vostri figghi / ci faciti l’occhi si nun ponnu vidiri lu jornu? Pirchì ci faciti li pedi / si camminunu a grancicuni?
Ignazio Buttitta nel 1963 dedicò questi versi “A li matri di li carusi”: quelle centinaia di bambini di età tra i cinque ed i dodici anni, affidati da famiglie indigenti ai picconieri delle miniere di zolfo siciliane, in cambio di una misera somma, chiamata “soccorso morto”.
Bambini che non riuscivano a vedere la luce del giorno, che erano costretti a camminare in ginocchio e che erano condannati a rimanere a vita all’interno delle miniere, privati degli affetti e dell’infanzia. Nun li mannati a la surfara / Si pani un nn’aviti scippativi na minna / un pezzu di mascidda pi sazialli / disiddiraticci la morti chiuttostu.
“Meglio la morte che la miniera”, affermava Buttitta. Meglio la morte che seppellirsi vivi in luoghi come Floristella, Grottacalda, le miniere Bimbinello, Vodi e Zimbalio-Giangagliano nell’area di Assoro, le Solfare di Capodarso e Valle dell’Imera meridionale, Gabbara a San Cataldo. O ancora la solfara Torre a Enna, la solfara Galati a Barrafranca, la solfara Stincone a San Cataldo, Collorotondo a Cattolica Eraclea e quella di Montegrande a Palma di Montechiaro.
Luoghi che oggi, dismessi da decenni, colpiscono per il silenzio irreale e vuoto che avvolge il visitatore, ma che fino alla prima metà del Novecento, brulicavano di persone che trasportavano pesanti carichi di cesti sulle spalle, spingevano carrelli sui binari, accendevano fuochi.
Ruderi dei Forni Gill a Floristella
Entravano persone e uscivano panetti di zolfo, i ‘carusi’ entravano e spesso non ne uscivano più: Scìnninu, nudi, ‘mmezzu li lurdduma / di li scalazzi ‘nfunnu allavancati; / e, ccomu a li pirreri s’accustuma, / vannu priannu: Gesùzzu, piatati!… /Ma ddoppu, essennu sutta lu smaceddu, / grìdanu, vastimiannu a la canina, / ca macari “ddu Cristu” l’abbannuna…: «abbandonati perfino da Dio», erano per il poeta di Cianciana Alessio Di Giovanni.
E attorno a quel microcosmo dall’inconfondibile odore pungente, che la tradizione cristiana associava alla presenza di diavoli e di streghe, vivevano i padroni delle cave estrattive, i gabellotti che organizzavano e gestivano il lavoro, gli sborsanti cioè i finanziatori delle imprese, i carrettieri, i bottegai, i fabbri, i calcheronai, i vagonai e i picconieri.
A loro, ai tanti ‘carusi’ sacrificati in miniera, è dedicata la monografia “L’oro del diavolo – Storia dello zolfo e della sua estrazione in Sicilia”, curata dai docenti del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania Rosalda Punturo, Rosolino Cirrincione e Rosanna Maniscalco, nata dalla collaborazione tra il Comitato Scientifico Regionale del Club Alpino Italiano Sicilia e l’Ateneo catanese, e pubblicata con il patrocinio della Società̀ Geologica Italiana.
Ingresso del Parco Minerario Gabbara di San Cataldo
Il libro, che comprende i contributi di Enrico Curcuruto, Mario Pagano, Patrizia Fiannacca, Carmelo Monaco, Carmelo Bartolotta e Martina Forzese, è stato presentato sabato 15 aprile a San Cataldo, nella sala conferenze “Gaetano Saporito” di corso Vittorio Emanuele 171. In questa occasione, si è tenuta anche una visita guidata al Parco Minerario Gabbara, uno dei principali siti di estrazione e lavorazione dello zolfo dell’Isola, una volta estremamente pregiato anche per le sue magnifiche cristallizzazioni.
Punturo e Cirrincione, docenti di Petrologia e Petrografia, e Maniscalco, di Geologia Stratigrafica, hanno assemblato una preziosa guida alla scoperta degli itinerari nelle zolfare siciliane, che analizza tanto le occorrenze geologiche dei vari siti, quanto la storia della commercializzazione dello zolfo e del suo utilizzo, con l’auspicio subito dichiarato di contribuire a riscrivere un intero capitolo della storia siciliana.
«A fianco di quella che è stata la più fiorente industria isolana – premettono – per due secoli propulsore dell’intera economia mondiale, si consumava un vero e proprio olocausto: gli orrori e le violenze commesse sui bambini, nel silenzio e nell’indifferenza più assoluta delle istituzioni e della borghesia rappresentano una pagina della nostra storia ancora non scritta. Questi ultimi, il cui numero è imprecisato, rappresentano, tutt’oggi, la vera anima di questi luoghi. Il viaggio all’interno del Parco diviene allora un percorso non soltanto fisico, ma anche interiore: non solo archeologia industriale, geologia e scienza ma anche un cammino attraverso un mondo di sofferenza e di cruda realtà che è divenuto, nel tempo, simbolo di tutto un popolo».
“L’oro del diavolo”, lo Zolfo, è stato per secoli profondamente radicato nella storia, nella cultura, e nell’economia della Sicilia. L’Isola ha rivestito, infatti, un ruolo di primo piano, non soltanto per l’estensione del suo sottosuolo ricco del minerale, ma anche perché agli inizi del XIX secolo le sue miniere ebbero rilevanza mondiale: in quell’epoca si contavano 193 miniere nella provincia di Caltanissetta e 170 nella provincia di Agrigento, più un altro centinaio sparse tra le province di Palermo ed Enna; nei primi anni del Novecento oltre 800 in tutta l’Isola, con l’Anglo-Sicilian Sulphur Company dei Florio a farla da padrona.
Zolfo e Aragonite
«Ci ammazziamo a scavarlo – scriveva LuigiPirandello nella sua novella “Il fumo” -, poi lo trasportiamo giù alle marine, dove tanti vapori inglesi, americani, tedeschi, francesi, perfino greci, stanno pronti con le stive aperte come tante bocche ad ingoiarselo: ci tirano una bella fischiata e addio!…E la ricchezza nostra, intanto, quella che dovrebbe essere la ricchezza nostra, se ne va via così dalle vene delle nostre montagne sventrate, e noi rimaniamo qui, come tanti ciechi, come tanti allocchi, con le ossa rotte dalla fatica e le tasche vuote. Unico guadagno: le nostre campagne bruciate dal fumo».
«È una febbre che cresce col tempo, una drammatica epopea che si sviluppa nell’arco di due secoli, tra congiunture, crisi, crolli di prezzi, riprese e miracoli, raggiunge la sua acme tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, decresce fino a sparire verso gli anni ’50 – sintetizzerà efficacemente Vincenzo Consolo nel suo “Uomini e paesi dello zolfo” -. Lasciando tutto come prima, peggio di prima. Lasciando, sull’altipiano, la polvere della delusione e della sconfitta, un mare di detriti, cumuli senza fine di ginisi, di scorie, un vasto cimitero di caverne risonanti, di miniere morte, sopra cui i tralicci arrugginiti, i binari contorti dei carrelli fischiano sinistri ai venti dell’inverno; son tornati a ricrescere i cespugli spinosi del deserto, a strisciare le serpi, a volteggiare i corvi».
Lo zolfo – riflettono gli autori – sarebbe potuto divenire il volano per lo sviluppo industriale riscattando l’Isola da secoli di arretratezza determinati dal susseguirsi di dominazioni ed espoliazioni. E invece, il minerale ha rappresentato ancora una volta l’ennesima occasione persa, per la Sicilia e i siciliani.
Veduta panoramica della miniera Zimbalio di Enna
La monografia è strutturata in tre capitoli principali: il primo narra la storia dell’estrazione dello zolfo e la sua importanza commerciale; il secondo illustra le caratteristiche chimico-fisiche di questo prezioso minerale; il terzo descrive la stretta relazione tra lo zolfo nel territorio siciliano e uno tra gli eventi paleoclimatici e paleoambientali più̀ drastici e straordinari del nostro pianeta avvenuto tra 5 e 6 milioni di anni fa: la Crisi di Salinità̀ Messiniana, nel corso della quale le acque del mar Mediterraneo evaporarono quasi completamente, a causa della chiusura dello Stretto di Gibilterra.
L’ultima parte del volume propone una serie di itinerari nel cuore della Sicilia, all’interno del cosiddetto “Bacino” compreso tra i territori di Enna, Caltanissetta ed Agrigento, che accompagnano il lettore alla scoperta del “paesaggio dello Zolfo”, oggi sede dei Parchi Minerari della Sicilia centrale. Ciascun itinerario rappresenta un’esperienza che permette di osservare le caratteristiche geologiche della Serie Gessoso solfifera siciliana, le testimonianze di archeologia industriale legate all’estrazione e al commercio dello zolfo, che risale a periodi probabilmente antecedenti la colonizzazione greca, come confermano alcune ‘pirrere’ rinvenute in diverse aree.
Oltre alle meraviglie naturalistico-geologiche, l’area è ricca di patrimonio culturale che si fonde con quello storico, rendendo i luoghi unici: non a caso, alcuni tra gli itinerari proposti si sviluppano all’interno del Rocca di Cerere Unesco Global Geopark. «Ma, andando oltre – rilevano i curatori della pubblicazione -, i siti minerari abbandonati non sono soltanto luoghi della memoria, che ci permettono di conoscere un passato non lontano che ha interessato la Sicilia. Essi rappresentano un’occasione per comprendere lo stretto connubio tra uomo e risorse naturali e per acquisire consapevolezza della gestione e fruizione del territorio, anche in una prospettiva futura».
Con il titolo: ingresso discenderia Parco Minerario Gabbara San Cataldo. Nella fotogallery: discenderia Miniera Bambinello Enna; discenderia Solfara Persico San Cataldo; miniera Trabonella, lo scheletro del nastro trasportatore; poi quattro immagini di cristalli di zolfo
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