di Santo Scalia
Molti degli oronimi (nomi di monti o catene montuose, n,d,r,) attribuiti nel tempo ai crateri avventizi nati lungo le pendici dell’Etna sono legati alla memoria di personaggi che si sono distinti nello studio e nella valorizzazione del nostro vulcano.
Analizzando le carte topografiche etnee troviamo così i Crateri Barbagallo (dedicati alla memoria della guida etnea Vincenzo Barbagallo, 1909 – 1977); i Crateri Ponte, nati dall’eruzione del 1971, dedicati al vulcanologo Gaetano Ponte (1876 – 1955); i Crateri Silvestri, in onore del vulcanologo Orazio Silvestri (1835 – 1890); il Monte Cumin, nato dall’eruzione del 1976 e dedicato alla memoria di Gustavo Cumin (1896-1956); i Monti De Fiore dell’eruzione del 1974, dedicati allo studioso Ottorino De Fiore (1890 – 1953); il Monte Denza per ricordare il nome del religioso e scienziato Francesco Maria Denza, (1834 – 1894); il Monte Gemmellaro – eruzione del 1886 – dedicato al famoso studioso nicolosita Carlo Gemmellaro (1787 – 1866); il Monte Rittmann dell’eruzione del 1986-87, in memoria del vulcanologo svizzero Alfred Rittmann (1893 – 1980); i Monti Sartorio, ovvero la bottoniera dell’eruzione del 1865, a memoria dello studioso tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershäusen (1809 – 1876).
Nelle cartine meno recenti non troveremo nemmeno i Crateri Greco, che ci ricordano il Cavalier Carmelo Greco di Linguaglossa (1912 – 2005): non sono altro che il sistema di bocche eruttive a bottoniera dell’eruzione del 2002, che distrusse il Piano Provenzana.
Un altro toponimo che però difficilmente troveremo, anche nelle carte del XX secolo, è il Monte Riccò, una formazione poco appariscente nata nel corso dell’eruzione del 1910, di cui ricorre oggi il 110° anniversario, e ormai scomparso sotto le colate laviche che dal 1983 in poi hanno ricoperto la zona tra il Rifugio Sapienza ed il Monte Castellazzo.
Dell’eruzione del 1910 questo blog ha già trattato: «Il 23 marzo del 1910 sull’Etna era una giornata piovosa; nella notte alcune scosse di terremoto, non particolarmente intense né avvertite da molti, segnavano l’apertura di una frattura che dalla zona detta Volta del Girolamo, nel versante sud, si propagò per circa 500 metri fino al Monte Castellazzo.»
La descrizione prosegue: «Il giorno dopo, in seguito ad una schiarita, una colonna di fumo scuro fu avvistata intorno a quota 2000 m. circa; un fiume di fuoco scorreva in direzione della frazione Borrello, poco a nord di Belpasso. La lava, in meno di un giorno, aveva già percorso quasi 8 chilometri! Sgorgando dalla parte più bassa della frattura la colata passò tra Monte Vetore e Monte Nero, poi più a valle tra Monte Sona e Monte Concilio, si intrufolò quindi nello stretto tra Monte San Leo e Monte Rinazzi e scese fino a lambire, a occidente, i monti Nocilla e Fusara.»
La punta più avanzata della colata si arrestò in contrada Cisterna della Regina a quota 690 m. circa, a poco più di un chilometro dal centro di Borrello, avendo percorso in lunghezza più di 10 chilometri. Era il 18 di aprile.
Torniamo al Monte Riccò, o ai Monti Riccò. Il Professor Emilio Oddone nella sua pubblicazione dal titolo L’eruzione etnea del marzo-aprile 1910 – apparsa sul Bollettino della Società Sismologica Italiana, Vol. 14, pag. 141–203 – si riferisce alternativamente ai Crateri Riccò (come nello schizzo a pag. 144), e al M. Riccò nelle didascalie che accompagnano le figure 10, 11 e 12.
Anche il Professor Paolo Eugenio Vinassa de Regny, nella sua nota Visite ed Osservazioni, pubblicata negli Atti dell’Accademia Gioenia, (Serie V, Vol. IV, memoria XX, 1911), in uno schizzo dell’area eruttiva fa riferimento ai Monti Riccò, ma nel testo poi specifica: «Decisi di fare la salita del nuovo cono inferiore, il Monte Riccò propriamente detto. E sotto il grandinare dei lapilli riuscii ad arrivare al suo orlo. […] Il cratere inferiore aveva ormai concentrato in sé quasi tutta l’attività della eruzione. Esso cacciava in aria, rabbiosamente, stracci di lava e lapilli: erano quasi incessanti i boati, gli scoppii, le detonazioni, per quanto ridotte di numero e di intensità rispetto ai primi giorni».
Sembra quindi che al Professore Riccò fossero stati intitolati tutti i crateri formatisi sulla frattura ma che, essendosi concentrata l’attività nel cratere più basso – come spesso avviene nelle eruzioni che generano delle bottoniere – col nome di Monte Riccò fosse stato infine denominato il più grosso dei crateri: proprio quello posizionato sulla frattura eruttiva, ma nella parte più in basso.
Il Professor Annibale Riccò morì il 23 settembre 1919: questo dato ci porta a considerare come l’attribuzione dei nuovi crateri al suo nome sia stata un atto di riverenza da parte degli studiosi suoi colleghi. Infatti, normalmente, le intitolazioni di luoghi, strutture ed altri elementi realizzati in memoria di un personaggio vengono eseguite dopo la sua morte, non quando ancora il personaggio è in vita.
Annibale Riccò nacque a Modena il 14 settembre del 1844 e fu personaggio di spicco nel panorama scientifico della seconda metà dell’800. Conseguita la laurea in Scienze Naturali, insegnò Geodesia all’Università della sua città natale, quindi Fisica tecnica al Politecnico di Napoli e poi all’Università di Palermo. Qui lavorò in seguito come astronomo presso il Reale Osservatorio Astronomico e successivamente fu direttore di quello di Catania, carica che mantenne sino alla morte.
Noto nel mondo della spettroscopia, della meteorologia e della sismologia, fu attento osservatore dell’eruzione etnea del 1910, della quale ci ha lasciato anche alcuni schizzi eseguiti sul posto.
Per la stesura di queste brevi note si è fatto spesso riferimento alla pubblicazione Oronimi, toponimi e speleonimi etnei del Dott. Giovanni Tringali, pubblicato a Catania nel Bollettino dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali, Vol. 45 N.° 375 pp. 511 – 606, nel 2012.
Una selezione di immagini d’epoca, cartoline postali della mia collezione personale, sono visibili nella Fotogallery.
Con il titolo: schizzo del teatro eruttivo del 1910 con il Monte Riccò (da Emilio Oddone – L’eruzione etnea del marzo-aprile 1910)
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