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    di Santo Scalia

    Il 7 maggio 1914 il quotidiano francese Journal des débats politiques et littérairespubblicato a Parigi dal 1789 al 1944 – scriveva, in prima pagina, un trafiletto dal titolo “Dans le cratère [dentro il cratere]. Pubblicava così una notizia, che nei giorni e nei mesi successivi sarebbe stata ripresa da quasi tutti gli organi di stampa in giro per il mondo, rivelando un’impresa al limite tra scienza, ardimento e prestazione sportiva.

    Dal “Journal des débats politiques et littéraires “del 7 maggio 1914

    Il trafiletto iniziava con le seguenti parole:

    Dal Journal des débats politiques et littéraires del 7 maggio 1914

    «Abbiamo esplorato più volte l’interno dei vulcani e, ancora, recentemente, il dottor Mabladra [sic] è sceso nel Vesuvio ma nessuno prima si era azzardato a farlo  in piena eruzione. Un ingegnere ungherese, il Sig. Arpad Kirner, ha voluto tentare l’impresa e studiare lo Stromboli, la cui attività non si arresta mai. Aveva preparato la spedizione da lungo tempo col dottor De Fiore, assistente presso l’Istituto Vulcanologico di Napoli, insieme allo sportivo Paul Muster ed al dottor Cuffaro, chimico palermitano.»

    Aggiungo una breve parentesi riguardo al dottor Mabladra: si tratta in verità del dottor Alessandro Malladra (come correttamente scriverà la stampa anglofona), vulcanologo italiano (Torino 1865 – Roma 1944); dal 1910 Malladra lavorò presso l’Osservatorio Vesuviano, di cui fu a lungo direttore; fu autore di importanti scritti geologici e soprattutto vulcanologici (tra i quali Il Vesuvio dal 1906 al 1920, 1926), e diresse gli Annali dell’Osservatorio vesuviano e il Bulletin volcanologique. A lui fu dedicato un minerale, la malladrite [notizie tratte da Treccani – Enciclopedia on line].

    Il nome di Malladra ebbe una risonanza a livello internazionale anche per essere sceso più volte – anche se in condizioni di relativa quiete del vulcano – all’interno del cratere del Vesuvio: la prima volta il 15 maggio 1912, quando ancora non dirigeva l’Osservatorio Vesuviano, poi l’8 settembre dell’anno successivo.

    Ma torniamo all’impresa di Kirner. Dalla Francia al Belgio il passo è breve: il 9 maggio infatti la notizia fu pubblicata anche dal quotidiano L’Étoile Belge che utilizzò lo stesso testo, compresa la storpiatura del nome del Malladra.

    Dal The Grey River Argus, 13 maggio 1914

    Il 13 maggio del 1914, sei giorni dopo la pubblicazione della notizia sul citato Journal des débats politiques et littéraires, il quotidiano neozelandese The Grey River Argus (edito nella città di Greymouth) pubblicò la strabiliante notizia: un uomo, un ungherese, era sceso all’interno del cratere dello Stromboli mentre questo era in eruzione!

    «Un ingegnere ungherese, di nome Arpad Kirner, è sceso nel cratere dello Stromboli in eruzione uno o due giorni fa. Indossava indumenti d’amianto, con una maschera per il viso, anch’essa d’amianto, ed un elmetto di metallo. Quando fu giunto a 700 piedi dentro l’abisso l’apparato per l’ossigeno smise di funzionare […]».

    Dal The Colonist dell’undici giugno 1914

    La stessa notizia, quasi un mese dopo, fu ripresa ancora dalla connazionale testata The Colonist, l’undici giugno: «Un’impresa che getta nell’ombra le audaci discese del professore Malladra [stavolta citato correttamente, n.d.A] nel cratere addormentato del Vesuvio è stata appena portata a termine da un ingegnere ungherese, Arpad Kirner, che è sceso nello Stromboli a una profondità di 300 metri mentre il vulcano era in stato di attività».

    Rilanciata anche da altri quotidiani (come The Evening Post, il 20 giugno) la notizia fece il giro del mondo. L’ingegnere ungherese Arpad Kirner nel corso della seconda settimana del giugno 1914 aveva compiuto un’impresa al limite dell’incredibile!

    Purtroppo tra il luglio del 1914 e il novembre del 1918 si combatté il primo conflitto mondiale e tali notizie, seppur sensazionalistiche, furono oscurate da quelle tragiche che venivano dai fronti. Kirner e la sua impresa passarono in secondo piano.

    Fu solo quasi due decenni dopo, che la rivista mensile di divulgazione tecnica e scientifica Popular Mechanics Magazine dedicò due pagine (342-343) all’ingegnere ungherese: nel numero di marzo del 1933, con il titolo Exploring the interior of an erupting volcano, la rivista di Chicago riportò all’attenzione popolare l’impresa.

    La pagina 342 di Popular Mechanics del marzo 1933

    Il mese successivo, un’altra rivista mensile si occupò di Kirner, la newyorkese Popular Science Monthly; nel numero di aprile del ‘33, quattro pagine a firma dello stesso Arpad raccontarono i particolari dell’evento. Making Movies in a Volcano fu il titolo dell’articolo, illustrato da vari accattivanti disegni e fotografie.

    È Kirner che scrive: «[…] Sotto di me c’erano lava bollente e fumi ondeggianti. Oscillando all’estremità della corda, mi stavo calando 800 piedi nella bocca di un vulcano attivo! Un casco di acciaio proteggeva la mia testa dalle rocce volanti. Il mio vestito, le mie scarpe, i miei guanti, erano stati tutti fatti con amianto. Legate alla mia schiena c’erano bombole di ossigeno che mi hanno permesso di respirare in mezzo ai fumi. Stavo realizzando una avventura scientifica che avevo pianificato per anni. I miei amici pensavano che io fossi pazzo quando ho annunciato la mia intenzione di esplorare il cratere di un vulcano attivo, di scendere nelle profondità del suo enorme pozzo, per fotografare l’infernale sfiato mentre fumava e brontolava, per andare lì dove le esplosioni rapidamente si susseguono le une alle altre e dove fenomeni, ancora misteriosi, avvengono costantemente. Nessuno di quelli che mi avevano preceduto negli studi dei vulcani aveva osato discendere in un cratere in piena attività. Essi si erano accontentati di semplici escursioni alla bocca del Vesuvio o dell’Etna durante periodi di quiescenza. Se avessi avuto successo nel mio piano sapevo che sarei stato testimone di fenomeni mai visti prima da nessuno».

    Dalla rivista Popular Science dell’aprile 1933

    Poi il racconto continua: «[…] Perché Stromboli? Perché è il solo vulcano in Europa che presenti un’attività ininterrotta. Qui non ho rischiato nulla. Nel suo cratere ero sicuro di trovare lo spettacolo che desideravo. Per me questo vulcano era una vecchia conoscenza. Lo avevo studiato tante volte. Avevo scalato i suoi fianchi, mi ero avvicinato alla sua bocca e sapevo che, anno dopo anno, la forma della sua sommità subiva variazioni. Per scegliere il posto più favorevole per la mia discesa l’ho visitato nuovamente. Quindi ho preparato la mia attrezzatura. Tutto era pronto!».

     

    «[…] Il controllo della mia discesa era gestito dall’alto mediante un verricello impiantato  diversi metri dall’orlo del cratere. Per evitare che la corda venisse consumata sfregando contro le rocce, è stata messa una carrucola al bordo del cratere. […] Sapevo che il mio ritorno avrebbe presentato dei problemi. Le mie precauzioni avrebbero potuto risultare insufficienti. Il mio cuore ed i miei polmoni avrebbero potuto non sopportare lo sforzo a causa dei gas e del caldo terrificante. Sospeso nel vuoto non sapevo dove stessi andando, né dove avrei poggiato i miei piedi. Cosa mi aspettava alla fine della discesa? Roccia solida? Lava bollente? Una sporgenza ripida e scivolosa, con sotto il fuoco? Non potevo dirlo […]».

    Titolo dell’articolo di Popular Science Aprile 1933
    Kirner appeso all’estremità della corda«[…]
    Rendendosi conto che una forza interna stava spingendo il magma facendolo risalire, capì che era giunto il momento di tornare indietro. La riserva di ossigeno si era esaurita e Kirner fu costretto a respirare aria carica di fumi sulfurei. Appena arrivato sopra il bordo del cratere, all’aria aperta, i suoi polmoni sofferenti cedettero e l’uomo subì una forte emorragia. Quando si riprese, fu contento di quanto aveva realizzato: «Ero felice di essere riuscito in un’impresa ritenuta impossibile da tutti». [la traduzione dall’inglese è dell’A.]

    Particolare dalla rivista  Popular Science Montly – Aprile 1933

    Ma Kirner non voleva fermarsi qui: insieme all’amico Paul Muster aveva l’intenzione di scalare la Sciara di Fuoco di Stromboli!

    Qualche tempo dopo, infatti, come racconta ancora l’ardimentoso esploratore, si cimentò in un’altra «thrilling adventure on the flank of this same volcano». Fatte realizzare con lamiere d’acciaio due strane armature e indossatele, Kirner e Muster, muniti di cinepresa e macchine fotografiche, si avventurarono sul ripido pendio della Sciara, consci del fatto che, nonostante le protezioni, un impatto con un proiettile anche di modeste dimensioni sarebbe potuto risultare fatale. Raggiunto con grande fatica un posto dove poter sistemare gli apparecchi di ripresa, cominciarono il loro lavoro fino all’esaurimento delle pellicole a disposizione. Allora decisero di iniziare la discesa, che fu molto avventurosa, e che mise a rischio la loro vita. Minacciati da enormi massi rotolanti abbandonarono velocemente le pesanti armature e si lanciarono correndo lungo il ripido pendio, cadendo, rotolando, verso il mare. Qui, giunti miracolosamente ancora vivi, ma senza fratture o serie ferite, furono soccorsi dai loro amici, che li portarono in salvo laceri e sanguinanti.

    Haroun Tazieff (Foto H.Tazieff
    Antonio Nicoloso, foto da una rivista del 1974

    Non mi risulta che altri spericolati abbiano tentato in seguito di ripetere una tale impresa. Altri, invece, a mia memoria, si sono cimentati nella discesa dentro i crateri dei vulcani, anche in presenza di attività eruttiva: Giuseppe Imbò, calatosi due volte nella bocca del Vesuvio, nel 1944; Haroun Tazieff, disceso nel cratere del vulcano africano Nyiragongo nel 1958, fino a raggiungere il famoso lago di lava; Maurice e Katia Krafft ancora nel Nyiragongo nel 1973 e nell’82; Antonio Nicoloso, sceso in due occasioni nei crateri dell’Etna (il Cratere Centrale o Voragine, nel settembre del 1974 e la Bocca Nuova nel maggio del 1993); il ricercatore francese Fanfan Le Guern, nel cratere Bocca Nuova dell’Etna sempre nel 1993.

    Katia Krafft (da Les diables des volcans – 2011)
    Arpad Kirner

    A proposito degli sheet-steel armor, come Kirner definì la sua armatura, c’è da ricordare che altri ricercatori in seguito hanno cercato di realizzare delle protezioni per riparare capo e spalle dalla caduta di proietti: i coniugi Katia e Maurice Krafft, Haroun Tazieff, Antonio Nicoloso sperimentarono dei caschi in vetroresina per una relativa protezione da impatti di lieve entità.

    Con il titolo: particolare dalla rivista Popular Science, aprile 1933